Zina

 

 
 

Archi della Marina

 

 
 

Porta Uzeta

 

 
 

Porta Uzeta (retro)

 

 
 

Via Etnea

 

 
 

I quattro Canti

 

 
 

Piazza Stesicoro

 

 
 

Monti Rossi

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mettetevi comodi! E' la guerra!

Cap. III Si sfolla

Dalla scaletta a chiocciola che si trova in fondo al corridoio della casa della mamma Concetta, Luigi scende in negozio. Gli scaffali sono quasi tutti spogli; Pietrino, il commesso sedicenne, mette in ordine. Suo padre Mario Pasquale è nella cabina privata dove riceve i clienti e dove trascorre tutto il suo tempo. Ne esce solo quando la moglie Concetta dal balcone lo chiama per il pranzo e per la cena. Arreri ‘u scagnu ci sono due sedie. Una è appunto la sua. L’altra,  quella di Luigi, rimane quasi sempre vacante, giacché il ragazzo non ama quel lavoro sedentario e preferisce prendersi cura della tenuta di S. Giorgio. Grazie alla sua passione per i fiori, la proprietà è un giardino fiorito, con rose di tutti i tipi e i colori. Nelle aiuole rivolte a mezzogiorno il giovane nel 1936 ha poi piantato dieci palme, come regalo di nozze per Zina, e questo ha reso la villa ancora più regale. Essendo costruita su un’altura, vi si gode una vista spettacolare, che abbraccia l’intera città, l’Etna, il Porto, l’Aeroporto, la sconfinata Piana e tutto il golfo di Catania fino ad Augusta. Chi viene ospite o in visita avanza infatti spesso proposte di compravendita, che Luigi rifiuta categoricamente, non trovando al mondo posto più magico di quello.

"Papà, io e Zina sfolliamo nella casa dei suoi genitori a Nicolosi. Vossia che pensa di fare? Resta a Catania?" chiede.

Mario Pasquale risponde con molta calma.

"Ancora non mi sembra necessario sfollare e poi devo vendere le ultime cose qui al negozio. Ma se la situazione peggiora, affitto anch’io una casa a Nicolosi e vi raggiungiamo!"

"Sarina però, in quel caso, non può restate sola a Catania!" pensa allora Luigi.

"Non ti preoccupare! Vorrà dire che se ne andrà alla Piana con suo marito Mario."

Luigi torna a casa sua coi bambini. Trova Zina già indaffarata con i preparativi.

"Luigi! Io sto facendo i bagagli! Tu cerca un tassì, per favore."

Luigi si mette al telefono, mentre Zina in camera da letto svuota amuarre e cascioli. Riempie tutte le valigie e, giacché queste non bastano, ricorre anche alle federe dei cuscini, che utilizza come dei sacchi. Poi va al cantaranu per prendere i gioielli. Il cofanetto é vuoto! È vero! Ci aveva già pensato la cameriera di sua cognata Sarina a metterli al sicuro! Nelle sue tasche.

"È tutto inutile! - esclama sconsolato Luigi, un quarto d'ora più tardi, entrando in camera da letto - Non c’è un solo tassì in tutta Catania! Li hanno già impegnati tutti! ...Non ni nni putemmu iri!"

"Ma io non ci resisto qui! Ti giuro, Luigi, che me ne vado anche a piedi!"

"Ma Zina! Nicolosi dista quindici chilometri! Come pensi che potremmo farli a piedi, con i bagagli e con i bambini? È impossibile."

Zina si siede ai piedi del letto e cerca di rassegnarsi, ma si sente come un animale in gabbia. Alle 14.30 finalmente l’allarme cessa.

Le ore passano. Si fa pomeriggio. All’improvviso, bussano alla porta. Luigi va ad aprire. Si trova davanti Don Saro, uno dei contadini della masseria del padre di Zina. È di Sciacca.

"Bona sira, signor Luigi!"

"Don Saro! E chi stati vinennu da Chiana?"

"Sissignuri! Vostru suoceru mi mannau a purtarivi a vostra parti di raccolto."

"Bene! U carrettu ‘u trasisturu 'ndò cortili Lanzafame?"

"Sissignori! Comu ogni vota. Ora v 'acchianu a robba!"

A queste parole, Zina balza in piedi e corre alla porta.

"Don Saro, aspettate! Non scaricate niente! ...Voi siete proprio una benedizione del cielo! Io e mio marito vorremmo sfollare a Nicolosi, ma non abbiamo un mezzo. Ci potreste accompagnare voi col carretto?"

Luigi la guarda strabiliato.

"Ma sei impazzita, Zina? Come puoi pensare di andartene su un carretto?"

"E perché no? È l’unica possibilità che abbiamo! Sempre meglio che rimanere qua!"

Luigi si convince e Don Saro acconsente. I preparativi per la partenza riprendono. Alle 18.50 scatta il secondo allarme della giornata e dura fino alle 20.55. Come ogni giorno dopo il tramonto, Zina oscura le finestre per non attirare eventuali bombardamenti con le luci di casa. Gli incursori alleati bombardano il porto e Catania Nord, facendo fortunatamente solo sei feriti e nessun morto. Quella notte trascorre interamente insonne, tra i successivi quattro allarmi che si susseguono fino all’una e mezza di notte, ma che si rivelano solo d’avviso. Uno dopo l’altro, i bagagli vengono caricati sul carretto, accanto ai sacchi di grano e agli ortaggi portati da Don Saro, e Zina non dimentica di portare anche il sussidiario del figlio Iuccio, così da permettergli di continuare a studiare. Infine, si legano quattro sedie alle staffe alte del carretto, su tre lati, per permettere ai passeggeri di viaggiare seduti.

Finalmente arriva il nuovo giorno: è 17 Aprile 1943. Col fiato sospeso si lascia passare l’allarme d’avviso che scatta alle 10.50 e dura fino alle 11.20, poi si esce di casa. Irene arriva col suo bagaglio. Non sono ancora le 11.30, quando la famigliola sale a bordo. Zina stenta ancora a crederci! Non solo hanno trovato un mezzo per andare via, ma hanno anche una gran quantità di provviste grazie alle quali non dovranno neppure usare le "tessere" per il razionamento. Fino a quel momento non avevano mai avuto bisogno di ricorrervi, dati i rifornimenti che provenivano loro dalla Piana, anche perché – a dirla tutta - i Tedeschi requisivano parte del raccolto, ma sia Mario che Biagio ne nascondevano una parte sotterrandola in grosse buche; e quindi la famiglia non aveva mai sofferto la mancanza di frumento o legumi, nemmeno in quel triste frangente, mentre intorno era fame e miseria. Ma adesso che la guerra sembrava prendere un’altra e più dolorosa piega, chi poteva sapere fino a quando la terra sarebbe potuta essere coltivata? Gli ultimi saluti ai familiari rimasti, Tina, Sarina, Mario Pasquale e Concetta, affacciati al balcone, e poi il mulo si muove. Procedendo lentamente, il carretto scende per Via Plebiscito fino agli Archi della Marina costeggiando Villa Pacini, detta ’a villa de’ varagghi (la villa degli sbadigli, perché frequentata soprattutto da anziani), oltrepassa Porta Uzeta e si ritrova così sotto la maestosa Cattedrale dedicata a S. Agata. L’edificio fu voluto dal gran conte Ruggero d’Altavilla, che nel 1078-1094 lo fece erigere sulle rovine delle Terme Achilliane di epoca romana e gli diede le fattezze di una ecclesia munita, cioè di una chiesa fortificata, dotata di feritoie e camminamenti all’interno dei muri, perché non solo fosse emblema del potere spirituale e del potere temporale dei Normanni, ma anche e soprattutto perché fosse in grado di difendere i catanesi dalle incursioni musulmane. Il suo attuale aspetto in stile barocco siciliano, opera dell’architetto Gian Battista Vaccarini e risalente al 1711, si deve dunque ai ripetuti disastri e crolli che lo colpirono, a cominciare dal catastrofico terremoto del 1169, in cui il campanile rovinò sul corpo centrale della chiesa, uccidendo tutti i fedeli che vi erano raccolti in preghiera, compreso il Vescovo, e a seguito del quale rimasero in piedi solo l’abside e il transetto normanni, per continuare con l’incendio che nel 1194 procurò notevoli danni e per finire con il terremoto del 1693 che distrusse gran parte del Val di Noto. Il carretto fa una breve sosta davanti al sagrato della chiesa giusto per permettere ai suoi passeggeri di rivolgere uno sguardo alla statua di Agata posta al secondo ordine della facciata e poi, attraversata Piazza Duomo, si incammina per Via Etnea, in salita. Così, come un affluente, s’innesta nella grande fiumara dei catanesi che sfollano e salgono verso il Tondo Gioeni. C’é panico! Si scappa con ogni mezzo: macchine, taxi, carri, biciclette, muli, ma soprattutto a piedi. L’aria è gremita di rumori e di voci. Sembra l’esodo degli Israeliti che lasciano l’Egitto, tra gli alti e ordinati palazzi della Via Etnea, l’antica Via Stesicorea, ’a strata lunga, il salotto di Catania, che si snoda per ben tre chilometri.

"A proposito! - esclama a un tratto Zina, rivolta a Don Saro - Me ’za Santa chi tunnau cu vuatri?"

"No, signurina: a la Chiana arristau."

"E picchì?"

"Ca scusa ca tri jorna arreri i tedeschi misuru ‘n postu di blocco e idda non potti tunnari, oramai rici ca resta pì darici na manu a vostru patri."

Dopo l’incrocio con Via Sangiuliano, ossia dopo i Quattro Canti, il carretto passa accanto alle macerie del Palazzo San Demetrio e degli edifici che sorgono poco sopra la Chiesa dei Minoriti, dove squadre di volontari lavorano senza sosta nel tentativo di estrarre coloro che sono rimasti sotto le macerie. E così Zina scopre che anche "La Casa del Bambino" é tra i negozi crollati.

"Madonna! - esclama, commossa — E i proprietari?" chiede poi ad uno degli uomini che scava tra le macerie.

"Tutti e due ca sutta sunu, mischini! Maritu e mugghieri! — risponde quello - Picchi? Vossia ’i canusceva?"

Zina indica i cappottini dei figlioletti.

"Questi due cappottini li avevo comparti proprio qua, appena un paio di mesi fa! Mah! Sia fatta la volontà di Dio!"

Il palazzo Massa di S. Demetrio, oltre ad essere, insieme al coevo palazzo Biscari, uno dei massimi esempi di architettura tardo-barocca della città, è anche il simbolo della rinascita di Catania dopo il terremoto del 1693, essendo stato il primo ad essere ricostruito, per volere appunto del suo proprietario, Don Eusebio Massa barone di S. Gregorio, come ancora racconta l’epigrafe posta nel suo androne. Al suo interno all’epoca conteneva anche un teatro, poi dismesso, dove lo stesso Bellini più tardi avrebbe mosso i primi passi; quindi è realmente un edificio di grande valore. Ora, a causa di due bombe che gli sono piombate sopra, giace completamente sventrato. Solo i tre balconi angolari sono rimasti in piedi. E le quasi settanta persone che si erano rifugiate nel suo androne giacciono sotto le macerie.

Proseguendo a lenta andatura, si oltrepassa Piazza Stesicoro, che i catanesi continuano a chiamare Porta Aci, in memoria della antica porta cittadina che conduceva ad Acireale. Sotto lo sguardo benefico del Cigno di Catania, il grande Vincenzo Bellini, assiso su un trono marmoreo che sormonta i suoi quattro capolavori, “La Sonnambula”, “Norma”, “I Puritani” e “I Pirati”, si passa quindi accanto ai resti dell’Anfiteatro romano, il secondo al mondo per grandezza dopo il Colosseo di Roma, che si trova sotto il livello della strada e aspetta ancora di essere riportato alla luce. Si arriva a Piazza Borgo, al Tondo Gioeni e poi si imbocca la Via del Bosco che porta fino ai due Obelischi e da lì a S. Agata Li Battiati.

Dopo essere passato per Mascalucia, finalmente il carretto di Don Saro arriva a Nicolosi. È ormai pomeriggio. Il paese è tranquillo. Un paradiso, in confronto a Catania!

La casa di Biagio e Agata si trova in Via del Calvario: una stradina che corre in salita, incorniciando i Monti Rossi, alle cui pendici si trova vicino. Procedendo su Via Etnea, che è la strada principale del paese, vi si arriva imboccando Via Giuseppe De Felice e svoltando sulla sinistra poco prima di arrivare, in linea d’aria, all’altezza del Municipio.

Il grande portone sulla strada immette in un cortile interno. Da qui si diparte una scala che porta all’appartamento al primo piano, affittato ai genitori di Zina. È un appartamento luminoso, con tre stanze da letto, uno stanzino, un bagno e una cucina. E coi balconi che si affacciano sulla strada. I proprietari abitano al piano terra. Luigi e Zina si fanno dare le chiavi dalla padrona. Poco alla volta, portano dentro tutte le provviste e i bagagli; quindi Don Saro riparte alla volta della Piana. Quella notte, dopo tanto tempo, Zina dorme serena. L’indomani lei e Irene vanno a cercare una donna che sia disposta a venire a casa una volta alla settimana per fare il pane e lavare il bucato. Poi portano al pastificio "Il Mulino" un sacco di farina e si fanno preparare la pasta: scuma, corallini, maccaruni.

Tornate a casa, si mettono ai fornelli. A pranzo, per festeggiare: pasta col sugo, melanzane fritte e ricotta salata, insomma, come si dice a Catania, una “pasta con la Norma”!

Qualche giorno più tardi arriva la madre Agata con i fratelli Pippo ed Emanuele e la cognata Teresa.

"Mamma! Vi siete decisa allora!"

"Si. I tuoi fratelli mi hanno convinta!"

"E la zia Carmela?"

"Idda non vosi veniri! Arristau a Catania."

 

 
 

testi e foto di Daniela Pandolfo;

grafica di Lucia M.Izzo e Teresa Ducci