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Quel giorno in guerra (10 giugno 1940) - di Giacomo Ferrera

 

 

 

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Ore 18.00 del 10 giugno 1940

il marconista della radio R4/A lanciò un urlo di richiamo. Corsi all'apparato, mi applicai una cuffia e feci appena in tempo a sentire:

-      La dichiarazione di guerra è stata consegnata...-

La voce era inconfondibile,  la radio era ben sintonizzata sulla rete nazionale, non c'erano dubbi di sorta.

Ero tenente e avevo la responsabilità operativa di tutto il settimo Gruppo Caposaldi della Guardia di Frontiera sul crinale delle Alpi Marittime, tra Col di Tenda e Colle della Maddalena, alla testata dei torrenti Gesso, con un fronte di 25 km circa e con varie cime superiori ai 3000 m di quota. Avevo, come mio comandante putativo, un capitano di complemento richiamato e anziano, al quale riconosco il grande merito d'essere rimasto alla base in fondovalle, d’ essersi occupato delle cose di ordinaria amministrazione e di avermi lasciato carta bianca per i lavori di fortificazione, per l'addestramento del personale, per la parte operativa con tutto il beneplacito delle autorità superiori.

Il confine di Stato correva allora oltre il crinale alpino e ne distava 5 km in linea d'aria: quell'ampia striscia era la mia zona di sicurezza, da controllare con le pattuglie e da battere con il fuoco. La mia posizione di resistenza correva sulla displuviale. Prevedeva la difesa del Passo di Pagarì (2819 m), del Colle delle Finestre (2471 m), dove avevo posto il comando con opere in calcestruzzo e il Passo delle Rovine (2724 m), il tutto già sistemato a difesa. Dietro, a Ponte delle Rovine, dove confluivano i torrenti Gesso,  c’era il nostro sbarramento di fondovalle con bunker in calcestruzzo già presidiati. Pure quello dipendeva da me e me ne servivo anche per sistemarvi i soldati meno validi.

L'annuncio fatale mi giunse proprio mentre alcuni dei miei soldati erano intenti a stendere linee telefoniche in zona di sicurezza, a ridosso del confine. Li avevo mandati fin dal mattino, disarmati e alleggeriti, per trasportare tutti i rotoli di filo occorrenti. Avevo però assegnato gli apparati provalinee e me ne avvalsi per prendere contatto.

- Attenzione:  è stata dichiarata la guerra. Abbandonate il materiale e ripiegate sui vostri posti, subito! Date conferma.

 - Ricevuto e confermato. Abbiamo finito e ripieghiamo. Vediamo pattuglie francesi che hanno passato il confine e che cercano di tagliarci fuori.

- Ripiegate di corsa su Madonna delle Finestre. Nostre pattuglie vi vengono incontro.

Distaccai subito tre pattuglie gagliarde, comandate da sottufficiali con l'esperienza della recente guerra civile spagnola; essi presero contatto con i nostri, li avviarono indietro e affrontarono decisamente le pattuglie francesi. Queste non si lasciarono agganciare e ripassarono il confine. Erano le ore 19.00. Da parte francese giungeva un brontolio di artiglierie: dovevano essere quelle dell'Authion e del Saint Saveur.

Intanto, avevo dato la notizia ai caposaldi dipendenti nonché ai reparti in zona. Mi giunse un messaggio che diceva di dare piena attuazione all'ordine di operazione numero uno. Si trattava della difesa di tutto il fronte, come sperimentato nell'anno precedente. In quel momento tutto era già fatto, in maniera graduale e completa: sei mesi di viveri, cataste di munizioni a piè d'opera, materiali di rafforzamento già sistemati, attrezzature d'ogni genere, esplosivi da mina per i lavori in roccia (i graniti e il duro gneiss delle marittime), armi di ogni genere e soprattutto un personale d'eccezione, addestratissimo ed esperto in ogni genere di attività. Forza presente: 7 ufficiali subalterni, 16 sottufficiali, 313 graduati di truppa, reclutati di massima nel settentrione. Fra i pochi meridionali, un bravo cuciniere che ci rallegrava quando diceva:

-       -   Accà, unico terrune sugnu in mezzo a tanti polentoni!

Con noi era arrivata una poderosa compagnia di alpini al completo, comandata dal tenente Richiardi, mio compagno di corso all'Accademia. Incontro festoso, rapido scambio di informazioni, intesa perfetta. La compagnia occupò il tratto più sensibile dell'ampia zona di sicurezza e sbarrò le provenienze dalla valle delle Finestre e dal Boreone. Richiardi, organizzatissimo, mi invitò a cena: un succulento minestrone di verdure fresche a quelle altezze!

 Frattanto arrivò un fonogramma incredibile:

-          Dichiarata guerra Francia. Proibito aprire il fuoco.

Già, con tutto quel che succedeva. Tale messaggio, del quale non tenne alcun conto, non venne mai annullato o modificato. Per la qual cosa, ligi al dovere, avremmo dovuto fare tutta la guerra senza mai sparare... Ma dall'altra parte sparavano e cercavano di infiltrarsi. Quindi, disposi che tutta la zona fosse sotto osservazione di giorno e pattugliata di notte. A diversi pattugliamenti presi parte anch'io e dovetti lottare per escludere i troppi volontari. L'unico scontro da noi registrato avvenne di notte, quando una mia pattuglia ne intercettò una francese e l'accolse con un fuoco d'inferno che mise tutti in allarme. I Francesi riguadagnavano il confine di gran corsa, forse trascinandosi dietro qualche malconcio, a giudicare dal materiale di equipaggiamento individuale abbandonato.

Intanto passavano i nostri aerei diretti verso la valle del Rodano o verso Tolone, e quelli francesi diretti verso Torino o verso Cuneo. I passaggi venivano segnalati da un osservatorio della DICAT (difesa contraerea territoriale), installatasi presso il mio posto di comando. Il personale era anziano, volenteroso, ma poco preparato. Un giorno i due di turno furono un guercio all'avvistamento e un sordo al telefono; ma c'era poco da ridere: erano stati comandati ed erano venuti fin lassù da noi.

Passavano anche le ore e i giorni, mentre dalla radio e dal telefono giungevano notizie di ogni sorta. Coppi ha vinto il giro d'Italia... I Tedeschi dilagano in Francia... Canta Rabagliati... I Tedeschi sono già arrivati a Saint Etienne e tra poco ci sfilano sotto il naso... L'ora segnata dal destino e l'immancabile vittoria... Ma intanto noi dovevamo stare fermi lì!

Si mossero invece le unità che erano in pianura: lunghe colonne di soldati e di quadrupedi salirono lungo i pochi sentieri delle montagne, ne valicarono i passi per poi puntare verso la Francia. Si attaccava, finalmente! Ma noi e la compagnia del tenente Richiardi , pronti a scattare, fummo tenuti fermi sul posto per difendere non si sapeva bene che cosa.

Da quel momento cominciarono i miei guai. I nuovi arrivati non rappresentavano certo un modello di organizzazione o di ordine. Strappati dalle loro sedi stanziali, raggiunsero sfiniti e intirizziti quelle cime spazzate dal vento gelido e avvolte da tormente di neve.

- Cari miei, quassù non piove mai: nevica anche d'agosto. Cuciniere, accendi e prepara!

- Ehi voi! Non fermatevi sul passo a guardare questo bel panorama! Non vi accorgete che bloccate la vostra colonna in marcia? Caporale Pèveri, mettiti qui sul passo: che nessuno si fermi lì! Circolare!

- Cosa fate voi? Proprio sul terrapieno della trincea mi piantate le tende? Fuori dai piedi! Ma guarda quegli altri che vogliono attendarsi vicino ai reticolati... Ascani, dammi il fucile e vedrai se mi sentono!

Feci schioccare una fucilata sfiorando le teste.

- Via di lì! Non fate rotolare i massi sui reticolati. Via subito, altrimenti gli altri colpi sono per voi. Siamo in guerra e non al campo estivo.

- Attenzione: non passate sul nevaio! I Francesi osservano, contano quanti siete e vi danno una santa benedizione...

- Per voi, il Boreone è  di qua. Vi conviene passare adesso con la nebbia, svelti. Sergente Jorio, li accompagni lei.

- Bongiovanni, passami il fucile!

Schioccò un'altra fucilata che sfiorò le teste di una colonna di salmerie.

-Se vi vedo ancora attaccati alla coda dei muli, vi faccio secchi! Ma chi comanda questa banda di monatti?

Dal rifugio vicino al passo, dove avevo posto il comando, mi chiamarono perché qualcuno alla mensa protestava.

- Questa pasta è scotta!

-Vede, signor Colonnello, a queste altezze l'acqua bolle a meno di 100° e non si può cuocere bene né la pasta né la verdura, come lei ben sa, signor Colonnello!

Calcai il tono perché sapevo che il signor Colonnello non lo sapeva. Il suo aiutante maggiore mangiava zitto zitto. L'unica cosa che recava con sé era un fucile per la caccia ai camosci...

Mi chiamò il portaordini e disse che il centralinista Marazzi era svenuto. Per giorni e notti non aveva voluto essere sostituito, ce la mise tutta e infine crollò. Lo feci coricare e mi misi al suo posto, anche per controllare le varie linee: funzionavano tutte, anche quelle precariamente stese negli ultimi momenti. Risposi alle chiamate, attuai i collegamenti richiesti e presi nota delle novità: due precipitati al Passo delle Rovine per effetto delle vertigini... I nostri hanno ricevuto l'ordine di attaccare... I Francesi sparano agli sbocchi delle vallate... La nostra artiglieria ha uno schieramento difensivo arretrato e ormai non ce la fa più a spostare in avanti i gruppi da 210/8 e da 149/35... Le batterie someggiate non sono più in zona... Visto che le notizie mi arrivavano copiose, fresche e di prima mano, presi il posto del centralinista ogni volta in cui avevo il tempo di farlo. Ne approfittai anche per trasmettere a  tutti gli interessati quel che sapevo.

- Non passate sulle creste perché vi vedono subito; passate leggermente sotto... O dall'uno o dall'altro versante o da tutti due... Ma non perdete il dominio...

- Non percorrete i fondovalle, altrimenti incappate nei tiri di arresto di sbarramento già predisposti e  registrati...

- Non passate sui ponti del torrente Vesùbia: pare siano minati, mine antiuomo... Il torrente può essere guadato...

- Attenzione: le strade sono battute dal fuoco... Evitate gli incroci...

Prediche inutili. Arrivarono altre notizie: un caduto tra la Agnelliera e il monte Piagù, un altro nella valle di Madonna delle Finestre, sparacchiamenti lungo il confine, feriti ai ponti sul torrente Vesùbia  (avevo detto che erano minati!), concentramento di fuoco a San Grato, allo sbocco della Valle Gordolasca.

Di là il colonnello della pasta scotta chiamava il generale; li misi in contatto e rimasi in ascolto.

- Sono in difficoltà. Sparano. Non posso avanzare. Non mi appoggia l'artiglieria?

- Non può. Siete fuori portata. Non facciamo in tempo. Fate quel che potete, ma muovetevi.

Mi  inserisco nella conversazione e dico:

- Posso intervenire io con i mortai e dare tutto il fuoco che occorre...

- Lei stia al suo posto. Questa azione dobbiamo farla noi.

- Signor sì. E frègati!

Quest'ultima espressione fu soltanto pensata, perché il regolamento di disciplina non proibisce di pensare. Mi sfogai con il tenente Richiardi che urlò:

-          Attacco io e vedrai se passo!

Ma dovette restare dove era. Arrivarono altre notizie: feriti da sgomberare a San Grato... Un intero plotone catturato... (dai Francesi, s'intende, i quali l'avevano sorpreso ammassato e in movimento in un fondovalle. Ma almeno avessero aperto le formazioni!)

Distaccai tre pattuglie annervate con il compito di prendere contatto con il fronte, osservare, raccogliere notizie e quindi riferire. E ritornarono puntuali a tarda sera con notizie sconfortanti; la terza non tornò affatto. Non mi preoccupai molto perché quei ragazzi erano furbi e svelti come gatti e avevano anche il percorso più lungo. Me li vidi tornare nella tarda mattinata del giorno seguente con un'abbondanza di notizie sorprendenti. Attraversato il torrente Vesùbia a guado in zona defilata, erano andati dritti su Saint Martin Vesubie: paese deserto, casolari di campagna vuoti, bestiame abbandonato nei campi, gente fuggita terrorizzata al solo pensiero di veder calare una travolgente marea di Italiani.

Invece, quello della pasta scotta era fermo sulla base di partenza assieme a quello della caccia ai camosci...

- Ma siete stati davvero a Saint Martin?

- Signor sì. Ecco una bandiera francese: deve essere quella del municipio.

-Bravissimi!

Mi misi al centralino e diramai le notizie. Un varco aperto esisteva, forse anche più di uno, fuori dai percorsi normali, come avevano fatto i miei soldati, ma nessuno era pronto per approfittarne. Intanto le scorte di viveri calavano; in compenso, diminuiva anche il numero delle razioni prelevate dalle cucine. Come mai? I soldati non mangiavano più? Quei diavoli avevano arrostito alcuni caproni vaganti, fuggiti da qualche gregge abbandonato ed entrati in Italia senza documenti; inoltre avevano scoperto che nei laghetti antistanti, ormai liberi dal ghiaccio, saltellavano giulive le rane e che queste erano commestibili. Mi fu offerta una gavetta di rane fritte nel lardo: ottime!

Giunse notizia dell'armistizio e della fine delle ostilità: conclusione deludente per me e per il tenente Richiardi. Ammirammo il comportamento dei Francesi: governati dal nefasto Fronte Popolare, con l'esercito in rotta, con la patria invasa, seppero tenere il fronte italiano con un velo di truppe e con una sapiente manovra del fuoco.

Cessate le ostilità, cominciò lo sgombero dei feriti e il riordino dei reparti: ce n'era bisogno! Segnalai la mia situazione: non avevo perdite di nessuna sorta. Avevo perso soltanto la pazienza. Ma perché le cose andarono così? Le cause risalgono a un'epoca remota, a 65 milioni di anni fa e, precisamente, al periodo oligocene dell’età cenozoica, quando la grande forza tangenziale, che si sviluppò da sud-est a nord-ovest, creò la catena alpina. Per effetto di tale spinta, le Alpi occidentali (cristalline) non hanno Prealpi (calcaree) sul versante piemontese; le hanno invece nel Delfinato nella Provenza. In altre parole, mentre tutto il complesso alpino occidentale degrada bruscamente sul Piemonte con vasti tratti esposti alle correnti fredde di nord-est, sul  versante francese abbiamo invece un'ampia fascia ondulata e corrugata, ricca di approcci verso il crinale alpino e di strade di arroccamento. Quindi, è facile invadere l'Italia dalla Francia, come fecero Annibale nel  218 a.C. e Napoleone nel 1800; arduo procedere in senso contrario. A tal proposito il teorico della guerra Carl von Clausewitz aveva detto che attaccare la Francia dall'Italia era come combattere brandendo la spada per la lama anziché per l'impugnatura.

Al tempo della Triplice Alleanza (Germania Austria e Italia), prima del fatale 1914, al generale von Schlieffen, autore del famoso piano di invasione della Francia, sarebbe bastato che sulle Alpi occidentali gli Italiani avessero mandato un tamburino a fare un po' di fracasso. Il nostro generale Pollio, ben consapevole di questi limiti, aveva pianificato il trasferimento di una Armata italiana sul Reno per affiancarla all'ala marciante tedesca, come previsto dal piano von Schlieffen. Ma poi le cose cambiarono.

Tornando a noi, prima dell'inizio delle ostilità, mi fu ordinato di calcolare i tempi occorrenti per raggiungere il crinale alpino dai due versanti e lo feci percorrendo materialmente le due zone. Risultato: sei ore dal versante francese, due giorni da quello italiano, ancora innevato."Tutto calcolato, e niente lasciato al caso". Non era previsto, però, che nella mia zona giungessero tanti tamburini a fare fracasso e confusione e che tutti si appoggiassero alla mia organizzazione. A cose finite, un capitano francese del nobile casato dei Cambronne disse testualmente: “Dans la hiérarchie de la merde, la France tien la prémière place, mais la deuxième est pour vous!” Altri dissero che c'era ancora “le chacal de Moscou”che doveva dire la sua: chiara allusione a Stalin. Essi vedevano lontano e speravano nel futuro, anche se il patto Ribbentrop-Molotov recava le firme ancora fresche d'inchiostro.

Così finirono le operazioni sul fronte alpino occidentale: con una brutta figura. Fummo poi spediti a collezionarne altre ancor peggiori e bisogna riconoscere che le varie località furono scelte al momento giusto e con somma cura: fronte greco albanese, Africa settentrionale, Jugoslavia, Russia...

Addio monti sorgenti dalla piattaforma continentale euroasiatica, cime ineguali e non certo uguali alle rosate Dolomiti, canaloni percorsi da valanghe di tipo himalayano velocissime e lunghi kilometri, luoghi che scoraggiano il turista per quanto ben disposto: Peirabroc, Cima del Diavolo, la Maledia, Monte Gelas, Fremamorta, Lago Nero, Passo del Lago, Lago dei Tre Colpas, Cima Piagu, Passo delle Rovine, Monte Matto... Lassù m'ero fatto un'esperienza d'esploratore polare, e poi andai a finire nel Sahara libico-tunisino.

Ebbene, lo confesso: non fui capace di sconfiggere o di fermare l'ottava Armata britannica del maresciallo Montgomery

Giacomo Ferrera 10 giugno 1990