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Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena e Parma
Scuola di Applicazione  - Diario 1934-1937 - di Giacomo Ferrera

 

I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti dall'autore del testo

e rielaborati da Lucia Maria Izzo.

 

 

 

 

 

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Il tempo passa da solo (detto arabo)


Capitolo I: Una giornata in caserma

A. La sveglia
Ancora non si è spento il rauco suono della tromba in cortile e già echeggia in camerata il grido del caposquadra di turno:
-Sveglia! Chiedenti visita!
E che! Bisogna essere ammalati per forza? Quel grido è quasi una tentazione: siamo indolenziti per la ginnastica o per le marce del giorno prima. Comunque, alziamoci, testa sotto al rubinetto per svegliarci, rasatura fulminea e via! Fuori tutti e giù in cortile.
È buio pesto.

B. La reazione del mattino
Lo scopo di questa prima ginnastica mattutina è quello di sciogliere i muscoli e di svegliare l'intelligenza, scrollandoci così di dosso il torpore e la sonnolenza con un primo vivace contatto con l'ambiente esterno. Per questo ci fanno alzare di buon mattino e, con qualunque tempo, scendere nel cortile d'onore e correre attorno al colonnato del Palazzo Ducale, alla fioca luce di poche lampade circonfuse della nebbia di Modena. Quindi, ginnastica a corpo libero.
Quelli di noi che sognavano "nelle albe gelide le diane e il rullo pugnace", dopo simili trattamenti, ripetuti fino alla nausea, cominciano a ridimensionare lo slancio romantico dei primi giorni. Difatti, per poter fare la reazione, bisogna alzarci presto dopo essere andati a riposare tardi. Una turba di gente sonnacchiosa discende precipitosamente le scale terminando di abbottonarsi, ad occhi semichiusi.
Attorno al colonnato comincia la solita corsa cadenzata detta il trotto degli asini. L'aria è gelida, la nebbia è fitta, è quasi buio: non ci sfugge che il controllo dei superiori è difficile. Ne approfitta per primo l'astuto barone: anziché fare giri si occulta dietro una colonna e aspetta che il branco ripassi dopo l'ultimo giro. L'esempio è imitato da altri, tanto che poi le colonne non bastano più. Allora organizziamo appositi turni, mentre chi corre nelle tenebre raddoppia il frastuono per mostrare che ci siamo sempre tutti.
Giungiamo  a fare qualcosa di simile anche con gli esercizi a corpo libero; c'è chi riesce a comportarsi come se avesse quattro braccia ed altrettante gambe, conferendo alla veduta d'insieme un aspetto impeccabile. Mai la legge del massimo rendimento con il minimo sforzo è stata applicata con maggiore scrupolo.

C. A mensa
Finita la reazione, a mensa! Tanto è lì vicino. In pochi minuti, serviti, mangiati e bevuti! Questo è il loro motto. Ma gli occhi si chiudono per il sonno. Fuori! Sempre a suon di tromba. Quindi, tutti dello studio grande.
Lungo la strada cerchiamo di fumare in tempi ristretti una frazione di sigaretta. Dura! Dura! Vien gridato al primo apparire di una fiammella. E tutti si accostano frettolosi per accendere.
Alla mensa torniamo mezzogiorno e alla sera, inquadrati, allineati, coperti: gli attenti e i riposo si sprecano. Il tempo è pochissimo: bisognerebbe mangiare servendoci di un imbuto, ma non si può. Stile! Il gentiluomo non bada a cosa mangia, ma a come mangia, anche se gli presentano la carne mimetica.
La prima volta la tomba del fine ci coglie a metà pasto; la seconda prima del termine. Non aspettiamo d'essere fregati una terza volta: tutto in tasca e via! Neanche se avessimo il nemico alle calcagna.
Soltanto Mon Colonel, da gran signore, nota il fenomeno con distacco e osserva che quel regime alimentare sarà fonte di disturbi gastroenterici, tipici dei militari. Ma egli non può far nulla, proprio perché è un signore.  Limone non lo è. Ci dicono che Napoleone esigeva che i suoi ufficiali consumassero i pasti in un quarto d'ora.  Non ci dicono però che per questo motivo egli fu esiliato a Sant'Elena, dove morì di ulcera gastrica.

D. Nello studio grande
Nello studio grande, molti crollano e si riaddormentalo davanti ai testi. Passa tra i banchi Maria Cristina o uno della sua levatura e spedisce i dormienti a quota pipistrello, dove l'inverno non si riposa perché il freddo fa battere i denti e dove d'estate le zanzare ci divorano vivi, come facevano ai Piombi con Silvio Pellico.
Altri ufficiali di servizio, d'indole ben diversa, o fanno finta di non vedere o passano con lentezza studiata, in modo che ognuno di noi si possa ricomporre. Mon Colonel parla di strapazzo fisico mentale; ma chi lo ascolta? Il Gallinaccio? Limone? Eh!!

E. In aula: Attenti! Seduti!
Andiamo in aula, con gli assonnati rimorchio. Questi, se sono defilati, si riaddormentalo dolcemente; se sono esposti, sgranano occhi grandi come fanali, ostentano un'aria attenta e dormono con lo spirito, sognando candide lenzuola, guanciali soffici, materassi morbidi, boschetti ombrosi, amache, giacigli, brande, letti, cuccette. I più spregiudicati sognano perfino alcove. Gli insegnanti si avvicendano e spiegano. Molti sono bravissimi! Pochi sono gli scadenti. Purtroppo, i più seguiti sono proprio questi ultimi: io prendo nota e mi documento, in modo da rileggere le frasi più significative alla sera in camerata, con grande spasso dell'uditorio.

F. Le interrogazioni
Il passeggero che si avventurasse oltre il Ponte dei Sospiri arriverebbe alla Montecuccoli. A destra e a sinistra vedrebbe le aulette di interrogazione, piccole come le celle della Lubianka: il tenente Bruna, aggiunto di storia militare, non ci sta neanche seduto di sghembo, lungo com'è; difatti, i suoi stivali arrivano in corridoio e fanno inciampare chi passa.
Tocca a me per primo: fisica. Segue storia militare. Mi parli degli opposti schieramenti alla battaglia di Dresda. Sono tentato di rispondere che io non c'ero. Mi risulta che uno, interrogato sugli opposti schieramenti alla mattina della battaglia di Austerlitz, completamente digiuno della materia, abbia chiesto con aria spavalda: a che ora?
Le interrogazioni si concludono con i voti, esposti in albo. Balistica, tiro, esplosivi, aggressivi chimici e geografia militare registrano lunghe file di insufficienze. Siamo tutti cretini, e non lo sapevamo.

G. Le marce
Le marce militari si dividono in diurne e notturne, con la pioggia o senza, in bicicletta o a piedi. Hanno lo scopo di trasferire a spalla un certo numero di oggetti, completamente inutili e alquanto pesanti, dal punto A punto di punto B. I due punti possono essere relativamente vicini o a distanze incredibili.
Ci sono poi i dislivelli e le scorciatoie: i primi servono per il Gallinaccio, così scoppia e la pianta di seccare il prossimo; le seconde servono per allungare l'itinerario sbagliando strada. Ciò che più interessa è l'alt orario di 10 minuti. Ne approfittiamo spesso per dormire di schianto sull'argine dei fossati o sui mucchi di ghiaia, mentre magari la pioggia penetra e percorrere con gelidi rivoletti le nostre riverite persone.
Con il trascorrere del tempo si profilano figure familiari inconfondibili: il gigantesco Kunder, che domina tutti; Raguso, che ondeggia ritmicamente sotto un treppiede di mitragliatrice; Giudici, che pedala di sghembo con un mitragliatore tra le gambe; De Anna che perde le fasce; Mancini che perde la pazienza; il Gallinaccio, che perde il fiato; Azzarini che perde tutto.
Siamo allenatissimi: potremmo marciare settimane e mesi emulando i legionari romani, con i loro stessi impedimenti.
- Ma tutto è inutile - dice Mon Colonel - perché se l'allenamento viene interrotto siamo al punto di prima -. Chi dà ascolto questo gentiluomo? Panzales? Eh!!

H. L'infermeria
l'infermeria ha tanti bei lettini bianchi sui quali si potrebbe dormire a rifiuto di materasso. Però, il dottor Balanzone accoglie soltanto quelli di noi che hanno la febbre. Un bel giorno anch'io dopo una clamorosa caduta da un cavallo protervo e ribaldo, mi presentai in infermeria tutto contuso e pestato.
- Fuori! Lei non ha la febbre -.
Ma alla fine una bella febbre arriva: ricoverato d'urgenza assieme a Camuri, dormo i sogni più belli della mia esistenza.

I. L'appello dei consegnati
- Uscenti, in libertà! Non uscenti, riposo!-.
Gli uscenti si incamminano indrappellati, evitando con cura di passare sotto la lampada dei caduti (ma chi è quel menagramo che l'ha piazzata nel mezzo dell'atrio?) e rompono le righe subito dopo aver oltrepassato il portone d'onore, sotto la statua di Ercole Farnese, quello con la clava, collocato proprio lì da un architetto umorista. I non uscenti restano dentro.
I consegnati si precipitano in fitta schiera al segnale del trombettiere. L'ufficiale di picchetto, che può essere Maria Cristina, Seghino o Ciclone, fa l'appello. I nomi più frequenti sono quelli di Carusi, Cappelli, Carminati, Azzarini, Bulgarelli, Di Seyssel, Quadrelli, allievi esuberanti di carattere. Soltanto l'Astuto Barone riesce sempre a farla franca e a non farsi consegnare.

L. Il silenzio
La tromba, quando suona al silenzio, fa venire la voglia di dormire anche chi non ne avesse. Sprofondiamo tutti in un mare di pece; tutti meno i soliti ignoti che agiscono nelle tenebre. Avviene così che al mattino qualcuno si risvegli in armeria o in corridoio o dovunque i solerti trasportatori notturni abbiano collocato con somma delicatezza il letto e il dormiente. Uno si è risvegliato in cortile, alle prese con l'ufficiale di picchetto che forse urla ancora adesso. Ma come si fa ad assumere la posizione di attenti scalzi e totalmente privi di uniforme?


Giacomo Ferrera