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Prigionia in Africa (1943-1945) - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti dall'autore del testo

e rielaborati da  

Gisella Malagodi

 

 

 

 

 

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Capitolo V : La fauna - Insetti, uccelli e... nemici

I più fastidiosi furono i pidocchi, dai quali ci potemmo liberare solo ad Alessandria e a Geneifa alcuni di noi erano talmente pieni che si videro costretti a buttare via ogni indumento. gli inglesi, e i loro associati, e i tedeschi, erano infestati peggio di noi. Gli esperti sapevano distinguere la provenienza di ogni parassita dei segni caratteristici che recava: punto nero, croce scura, puntò Rosso eccetera. Quindi: australiano, sudafricano, asiatico, arabo eccetera. Pericolosissimi quelli che erano veicolo di tifo petecchiale: registrammo qualche caso mortale quando stavamo sulla linea del Mareth. Le povere vittime furono inondate sul posto, ricordando la trincea.

Le cimici facevano rarissime apparizioni durante i movimenti, ma erano pronte a crescere e a moltiplicarsi quando si raggiungeva una sede. Per combatterle, si usa dal petrolio che ci veniva distribuito proprio a tale scopo. Noi ce ne liberammo usando un piccolo lanciafiamme di mia invenzione o tenuto da un nebulizzatore a pompa. Veramente, non inventa il nulla, perché mi limitai a copiare i nostri lanciafiamme della prima guerra mondiale. L'arma risultò efficacissima.

Ma nulla si poteva contro le mosche! Erano piccole, secche, , insidiose, velocissime. O per la mano a nuvole alla periferia del Cairo, a sciami nei villaggi arabi, a gruppi su ognuno di noi, e non davano pace. Pungevano avidamente per succhiare umori e facevano male. Guai avere una piccola ferita aperta, perché avrebbe potuto essere infettata e degenerare in piaga tropicale. Entravano negli occhi, in bocca, nelle orecchie e costituivano un tormento continuo. Ad ognuno di noi venne distribuita una provvidenziale zanzariera, e con quella potemmo avere un po' di pace.

La guerra continuava, e si doveva fare qualcosa anche noi, sia a scopo dimostrativo, sia come vera partecipazione.

C'era fra noi un cacciatore esperto il quale, scopi reconditi, intendeva catturare qualche poiana, che sarebbe l'avvoltoio sacro dell'antico Egitto; sacro sì, ma assolutamente immangiabile, altrimenti avremmo organizzato una caccia sistematica. Gli uccellacci di malaugurio continuavano a svolazzare sul nostro campo nella vana speranza di trovare qualcuno di noi è stecchito sulla sabbia onde cibarsene avidamente... e toh! il cacciatore ideò una trappola molto ingegnosa, il barattoliere la costruì e aggiunse l'attrezzatura per immobilizzare la preda. Il tutto funzionava benissimo. Alle zampe dell'animale veniva attaccata la bandiera italiana o un festone con i tre colori, quindi il volatile veniva liberato. Ogni volta quell'uccellaccio elevato al rango di alfiere continuava poi a librarsi sopra di noi come larghi giri, con nostro grande sollazzo e con malcelata rabbia da parte dei nostri custodi.

Un giorno il comandante inglese del campo, venuto a fare un'ispezione, vide che a ogni stallo dei gabinetti avevamo applicato la fotografia, ritagliata dai giornali, di un membro della famiglia reale inglese. Peraltro, gli ordini di precedenza erano stati rispettati secondo l'etichetta. Ad uno dei posti d'onore troneggiava Faruk, all'epoca felicemente regnante in Egitto. I giornali ne riportavano la fotografia riprendendolo sempre seduto davanti a una tavola riccamente imbandita, e sempre di signorilità, di stile, di sensibilità in quell'epoca di fame nera. Nessuno prima di noi aveva pensato di collocare l'illustre sovrano nel suo posto giusto (the right man to the right place) affinché egli potesse concludere l'ultimo atto della sua laboriosa funzione digestiva. Per vilipendio grave consumato ai danni di cotanti personaggi, fummo puniti facendoci stare fermi al sole per un paio d'ore, ma che levammo una bella soddisfazione.

Il bello venne quando i nostri soldati vennero a lamentarsi perché erano impiegati in lavori connessi con le operazioni di guerra, il che era proibito dalla convenzione.
- Ci mandano sul Canale a caricare e scaricare i loro rifornimenti......
- e voi ci andate con un chiodo in tasca. Se sono cartoni di gallette, fate un buchetto: pensano i vermi a fare il resto. Se sono scatolette, basta bucarne una: marcisce, scoppia e impesta le altre. Al lavoro!
- Ci mandano al campo d'aviazione a togliere la sabbia dalle piste e a ripulire gli aerei...
- è voi ci andate! Ma prima fermatevi un po' a parlare con il nostro aviatore.

Era con noi un maggiore dell'aeronautica che sapeva tutto sugli aerei nemici; egli provvide a dare gli opportuni suggerimenti, e lo fece con perizia, con astuzia e con somma discrezione. Il campo d'aviazione era davanti a noi, gli aerei vi giungevano per riparazioni, manutenzione e collaudo, dopodiché ne ripartivano. Erano Spitfire, Hurricane e trasporti. Il maggiore spiegò che per quel tipo di aereo bastava togliere un bullone del carrello... che per quell'altro tipo agendo sul longherone dell'ala... che per quell'altro ancora, mollando i tiranti del timone... gli effetti si videro subito e costituirono un vero spettacolo: quei piloti, che prima che passavano sopra ogni momento e a volo radente, con esibizione che avevano del beffardo, si trovarono alle prese con difficoltà inaspettate e tremende. Alcuni non riuscirono a governare l'aereo e furono costretti a disastrosi atterraggi di fortuna fuori campo; altri, durante l'atterraggio, non riuscirono ad aprire i carrelli e imboccarono la pista strisciando di pancia o con pericolo di prendere fuoco di finire in un rogo. Uno riuscì ad atterrare sulla ruota, ma quando fu quasi fermo perse un'ala che aveva toccato terra e girò su se stesso. Lo applaudimmo per la sua bravura.

Per completare l'opera, due soldati napoletani ( chi, se non loro?) avevano fatto sparire l'orologio d'oro che un colonnello della R.A.F. lasciava per abitudine sul tavolino mentre si radeva. Subito arrestati, perquisiti denudati per ben tre volte prima di lasciare il campo d'aviazione, addosso al loro non fu trovato un bel niente; eppure, non potevano essere che quei due... altri controlli, altre perquisizioni: nulla! l'orologio aveva già preso il volo, legato alle zampe di un piccione appositamente addomesticato; ormai si trovava già nelle mani di un ricettatore arabo a Heluan.

Ognuno continua la sua guerra come può. un bel giorno sentimmo il sergente della R.A.F. che dal campo d'aviazione urlava: soldati italiani peggio che bombardieri stukas! Adunata con tutti li robi: Via!

Il nostro aviatore sentì allora di avere vinto la sua battaglia aerea.

 

Giacomo Ferrera