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Prigionia in Africa (1943-1945) - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti dall'autore del testo

e rielaborati da  Lucia Maria Izzo

e Gisella Malagodi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo VI : Le evasioni

Primo dovere del prigioniero è quello di evadere. Condizione necessaria e sufficiente, nel nostro caso, era poter disporre di una base per poi raggiungere la madrepatria. Per noi si ponevano due difficoltà. Prima di tutto, da quando avevano internato tutti i civili italiani residenti in Egitto, non c'era più alcuna base alla quale appoggiarci; poi, nessuno di noi era in grado di attraversare il Mediterraneo a nuoto per raggiungere l'Italia. Solo la Reggia Marina aveva predisposto punti di appoggio per i suoi famosi incursori; mantenne il segreto e fece benissimo. Ognuno di noi, nel suo intimo, pensò di evadere; tuttavia pochi tentarono la fuga; qualcuno ci riuscì. I casi più clamorosi furono questi.

L'evasione fallita

Il capitano di artiglieria Bentivoglio, di antica nobiltà, aveva parecchi amici in Inghilterra; ma nella sua qualità di prigioniero non volle approfittarne. Invitato dagli inglesi a collaborare, rifiutò decisamente ogni proposta per mantenere fede al giuramento prestato. Rinchiuso con noi al campo di Heluan, si ricordò che quando era in Italia, durante la campagna antiebraica, aveva aiutato un suo amico israelita a fuggire in Palestina, e che questi da Tel Aviv gli aveva mandato l'indirizzo ringraziando e aggiungendo che sarebbe stato felice di ricambiare il grande favore ricevuto. Bentivoglio non fece parola con alcuno. Si stese al sole e si cosparse la pelle con un intruglio di tè e sale. Ottenuta alfine una notevole abbronzatura, alzò un paio di sandali, si avvolse in un lenzuolo, fasciò la testa in una specie di turbante e sparì. Durante la conta, si fece in modo che il controllore non si accorgesse che mancava; nessuno naturalmente denunciò la sua scomparsa, anche se si sapeva ormai che era evaso.

Egli si diresse verso il Canale di Suez e si associò a una carovana di pellegrini diretti alla Mecca. Particolare importante: questi pellegrini non dovevano esibire documenti e potevano traghettare liberamente. Con tale accorgimento egli passò; per non rivelare la sua totale ignoranza della lingua araba, stava sempre a testa bassa fingendo di biascicare le 99 lodi di Allah: non si disturba un fedele che prega! Giunto oltre il canale, si staccò dai pellegrini e marciò alla volta di Tel Aviv, che non era a due passi. Evitò le strade e gli abitati, eluse ogni controllo e finalmente giunse a destinazione. In vista ormai della casa dell'amico, incappò in due poliziotti: documenti! Non ne aveva... non capiva l'arabo... al posto di polizia dovette dire chi era. Rispedito fra noi, ci raccontò tutta la sua avventura finita in modo così deludente.

Ma l'amico di Tel Aviv? Ormai nulla avrebbe potuto fare, dato che la Palestina era sotto l'ombrello inglese, un ombrello che non era di tela.

L'evasione beffarda

Il colonnello inglese comandante del campo in cui era rinchiuso il sergente Nogara era soprannominato Cicci; lo sapeva e la cosa gli dava un fastidio tremendo. Tuttavia, passava in mezzo ai prigionieri bene allineati tutto fiero e impettito, come se la guerra ormai al termine stesse per vincerla personalmente lui. Teneva sempre sotto il braccio il suo bastoncino, anche se dallo schieramento si levava regolarmente qualche voce che indicava con estrema precisione dove poteva ficcarselo. E ogni volta il colonnello, che non comprendeva l' italiano e che quindi non era in grado di cogliere la finezza di certi imperativi, si fermava e chiedeva:
- What?
Fra quella massa di disperati c'era il sergente Nogara, paracadutista, superstite di El Alamein, il quale aveva notato un certo movimento di aerei in un campo di aviazione che era nelle vicinanze. Radio-Scarpa precisò che quegli aerei erano diretti in Sicilia o in Sardegna, isole appena occupate dagli angloamericani, più americani che anglo. Il sergente Nogara, senza esitare, con il favore delle tenebre, eluse la sorveglianza delle sentinelle, che sparavano a vista, raggiunse il campo d'aviazione, si introdusse in un aereo, si nascose sotto una catasta di paracadute e attese gli eventi.

Al mattino l' aereo partì, e quando arrivò a destinazione, Nogara uscì quatto quatto dal suo nascondiglio e si trovò in Sardegna, proprio a guerra appena finita. Con mezzi di fortuna raggiunse in poco tempo Venezia, dove abitava, e lì ebbe la sciagurata idea di spedire una cartolina così concepita:

Al Col. John L. Wilson detto CICCI
Commander.... P.O.W. Camp
m. PM N°...... EGYPT

Caro Cicci, sono a Venezia a casa mia e mi stracatafotto di te che passi con il tuo elegante bastoncino. Puoi ficcartelo nel (censura). Firmato: sergente Nogara.

Purtroppo la cartolina giunse a destinazione fin troppo presto. Il colonnello Cicci, quanto mai furibondo, avvalendosi dei poteri graziosamente conferitigli da Sua Maestà Britannica, mobilitò la Military Police e fece ricercare l'incauto sottufficiale a Venezia. Ma costui, annusato il vento infido, si fece assumere dal comando americano come sommozzatore per sminare il Canal Grande, lavoro rischiosissimo del quale il sottufficiale era veramente pratico. E gli americani, che, visti i risultati, se lo tenevano ben caro, quando si videro davanti i burbanzosi messaggeri del colonnello Cicci si avvalsero delle facoltà tipiche dei più forti e dei più autorevoli; cacciarono gli incauti con male parole e con l'incarico di riferire al Cicci medesimo di andare a fare una cosa molto disdicevole.

Allora il colonnello Cicci sentì di aver perso la guerra contro il sergente Nogara. Questi venne poi riassunto in servizio nel ricostituito esercito italiano e per un certo tempo fu anche alle mie dipendenze. Ci teneva tutti allegri con le sue storie e con le sue uscite. Scapolo, estroverso e pieno di ragazze dietro le quali dilapidava tutti i suoi averi, aveva fatto notare che chi non aveva il peso della famiglia lavorava di più e percepiva di meno rispetto ai colleghi coniugati. Da qui l'intenzione di presentare rispettosa domanda intesa a ottenere l' "indennità amante" in luogo della "aggiunta di famiglia" corrisposta agli altri. L'idea naturalmente non sortì effetto alcuno; ebbe tuttavia il risultato di fare ridere tutti. Comunque, egli fu uno dei tanti che non meritavano affatto di perdere la guerra in modo così nefando.

L'evasione multipla

Nel campo di prigionia, il tenente Pipitone era quello che evadeva in continuazione. Ripreso ogni volta e fieramente castigato, veniva sempre ammonito dal colonnello inglese, il quale infine minacciò le punizioni più terribili. Il nostro, seccato, gli rispose che sarebbe evaso di nuovo, e precisò giorno e ora. Il colonnello gli mise quattro guardiani alle costole, ma ciò non servì a nulla: in quel giorno e a quell'ora il prigioniero evase davvero, e questa volta per sempre.

Si era verso la seconda metà dell'anno fatale 1943: nessuno seppe più nulla del fuggitivo.

Passiamo alla seconda metà degli anni '60. Il comandante supremo di tutte le forze della Nato, già comandante di Fort Benning in Georgia dove ero stato per un anno, invitò me e mia moglie nella sua residenza in Germania, a Heidelberg. Sorvoliamo sui piacevoli incontri e sul resto e torniamo all'argomento. Gironzolando per la città, mia moglie fu attratta da un negozio che in vetrina aveva alcune belle giacche di renna ed entrò. La commessa chiese tutta premurosa :
- Italiani?
- Ebbene sì.
- Allora conoscete il tenente Pipitone!

Ricostruzione dei fatti. Quel rompicollo, evaso dalla prigionia in Egitto, riuscì a imbarcarsi clandestinamente sui trasporti angloamericani e raggiunse la Sicilia, proprio nel momento meno opportuno. Penetrato comunque nelle linee italiane durante l'infausto armistizio, fece giusto in tempo per farsi deportare in Germania, dove fu chiuso in un lager, in uno di quelli dai quali non si evade. E Pipitone, invece, evase regolarmente. Entrò in Heidelberg e, con un fiuto da segugio, fermò una ragazza, alla quale chiese aiuto. Quella, che viveva sola, se lo portò in casa, lo tenne nascosto rischiando la fucilazione, lo rimise in forze e - a quanto pare - fu largamente compensata da quel giovane dalle capacità incredibili.
- Ah, il tenente Pipitone! - Esclamava sorridendo e girando gli occhi in estasi.

Che sarà di lui oggi?

 

Giacomo Ferrera