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Prigionia in Africa (1943-1945) - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono stati

eseguiti dall'autore del testo

e rielaborati da  Maria Pompea Coluzzi,

Teresa Ducci, Lucia Maria Izzo,  Liliana Manconi

e Maria Concetta Pasquale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo VIII: Incontri

Il corsaro

il tipo più caratteristico che capitò fra noi fu indubbiamente un capitano di lungo corso, soprannominato non ricordo se Trinchetto o Pappafico. Era genovese, piccolo, asciutto, bruciato dal sole e dalla salsedine; camminava a gambe larghe e dondolando, come se la terra gli ondeggiasse sotto i piedi. Parecchio anziano ma di età indefinibile, era però lesto come un grillo e assai loquace: ascoltarlo era un vero piacere, perché parlava inglese, genovese e uno strano italiano cantilenato di cui darò un saggio. Emulo del corsaro Bavastro, quello che durante il blocco continentale dell'anno 1800 riuscì a forzare il cerchio delle navi inglesi che assediavano Genova, fu uno degli ultimi che assicurarono preziosi trasporti dalla Sicilia alla Tunisia e viceversa. Furbo come una volpe e svelto come un gatto, riusciva a passare indenne fra mine galleggianti e scoccare di siluri, eludendo ogni insidia.

Un giorno però, quando tutto in Tunisia stava per concludersi malamente, sulla via del ritorno, venne centrato da un siluro; la nave affondò subito un'ondata scagliò in mare lui e l'equipaggio, costituito da quattro gatti che di più non erano. Emerse un sommergibile inglese e li ripescò tutti. Il comandante volle subito vedere il capitano per parlare con lui. Riporto il dialogo come mi fu raccontato: merita!

- È già un po' che ti diamo la caccia e ora abbiamo beccato finalmente te e la tua nave!
- Senta quello che ci dico io a lei: la nave non è mia, ma dell'armatore, perciò me ne sbatto (segue complemento oggetto, sostantivo introvabile nei dizionari, ma molto usato nella marineria genovese). È una vecchia carretta che anni fa doveva andare in demolissione, ma che io ci arrescivo a farla navigare lo stesso. Come valore, è meno che il siluro che ci avete tirato. Quanto a me, ero già in pensione e ho ripreso a navigare perché me l'hanno domandato e perché l'ho sempre fatto che a me mi piace. Con questo oggi ho finito la mia navigassione ma sono tranquillo. A casa ci ho lasciato mia moglie meschinetta che è ansiana come me e può anche star sola perché per noi due ormai sono messe dite e vespri cantati. Qualcosa nella càntia ci ho lasciato e può vivere bene anche sensa di me, che adesso me ne batto... (segue complemento oggetto, come sopra). Ma la cosa più importante che ci devo dire a lei e che sotto coperta c'erano 35 prigionieri, pròppio inglese come lei, e che l'affondamento è stato così rapido che non ho potuto salvarne manco uno e mi fanno mal prò (=pena, genovese) meschinetti per la loro brutta fine. Bel lavoro che avete fatto! Ma non sapete che al ritorno portiamo prigionieri? È all'andata il momento di silurare!

e con noi concludeva:

- dovevate vedere la faccia di quel comandante... ora sono qui, le mie le ho passate, e adesso me ne batto...(segue complemento oggetto, come sopra).

Quel capitano, così simpatico a tutti per quel suo parlare fiorito e pittoresco, rimase con noi a Heluan solo per pochi giorni. Poi fu mandato con gli internati civili peccato!

Il prigioniero a vita

Un altro personaggio interessante era un ufficiale triestino. Nel 1916, con il grado di tenente nell'esercito austroungarico, fu fatto prigioniero dai Russi sul fronte orientale, in Galizia, durante la prima guerra mondiale. Spedito in Siberia, sulle rive del lago Baikal, subì le conseguenze della rivoluzione bolscevica, nel senso che per anni rimase bloccato là. In seguito, dopo lunghi e travagliati interventi diplomatici, poté raggiungere Vladivostok assieme ad altri disperati come lui: cecoslovacchi, ex austroungarici eccetera. Le varie diplomazie lo spedirono da Vladivostok a San Francisco, senza fretta; quindi a New York, con comodo. Arrivò infine a Trieste negli anni 30... per essere declassato a sottotenente, chissà perché, e immesso nel nostro esercito, dato che nel frattempo era diventato cittadino italiano a sua insaputa. Chiamato alle armi tanto per cambiare, fu spedito in Africa giusto in tempo per essere fatto subito prigioniero nel 1940.

Mi raccontava la sua storia mentre mangiavamo assieme una ciotola di riso alla sabbia, e concludeva malinconicamente: nella mia vita ho fatto solo il prigioniero di guerra!

Il missionario

A Heluan arrivò fra noi dal Sudan un missionario francescano, internato perché italiano.

Raccontò che, quando raggiunse il villaggio cui era destinato, fu sottoposto alla prova della lancia, perché lo stregone non gradiva concorrenze. Siccome la tonaca era larga e il frate era secco come un baccalà, la lancia passò da parte a parte lasciandolo indenne; dopodiché, fu accettato.

Un bel giorno gli indigeni si presentarono a lui e gli parlarono pressappoco così:
- Manca l'acqua e il nostro stregone non riesce a far piovere. Ma anche tu sei stregone, e se sei più bravo di lui, invoca la pioggia! Se pioverà, noi saremo tutti con te.

Alla sera il frate alzò gli occhi al cielo, allargò le braccia e disse: Signore, questa povera gente ha fiducia in me ed è pronta ad accogliere il Tuo verbo. Ma io non posso far piovere... solo Tu, o Signore, lo puoi fare. Se Tu desideri che io converta questo popolo alla nostra santa fede, devi far piovere. E questo adesso è affar Tuo!

Dopo questa preghiera piuttosto strana, andò a dormire. Miracolo o combinazione: nella notte si aprirono le cateratte del cielo, per di più fuori stagione. Cominciarono così le conversioni. Sul più bello, arrivarono gli inglesi, presero il frate e lo trasportarono qui.

Il poliglotta africano

il capitano Barzaghi di Milano aveva trascorso tutta la sua vita in Africa, conosceva tutti i popoli africani e ne parlava lingue e dialetti. Quando vedeva i vari gruppi di indigeni africani componenti il pittoresco mosaico delle forze armate britanniche, egli ce li indicava e ci spiegava:

- Quelli sono Congolesi dall'alto Congo... quelli sono della zona dei laghi Victoria e Tanganica, parlano il swahili... quelli sono i Kikuiu del Kenya... quelli sono Cafri del Sudafrica...

Per ogni gruppo che ci capitava di vedere, egli indicava regioni di origine, abitudini, lingua parlata e così via.

- Quelli sono Basuto, che parlano la lingua...

Uno degli astanti, che non conosceva Barzaghi, lo interruppe esclamando:

- Ma cosa puoi sapere tutto di quella gente!

Punto sul vivo, il capitano si rivolse verso di loro, li salutò nella loro lingua e fece un lungo discorso. Quelli, che non si aspettavano di sentirlo parlare così, lo ascoltarono pieni di rispetto, qualcuno rispose... taluni dialogavano vivacemente... altri gli si inginocchiarono davanti.

Il petroliere

Il sottotenente Savino era con noi, ma non faceva parte del nostro gruppo. Un giorno, a Heluan, il colonnello inglese, comandante del campo, si scomodò di persona, venne a cercarlo nel nostro recinto e gli mostrò un assegno corrispondente a una cifra enorme, non in piastre egiziane, ma in eccellenti dollari. La somma naturalmente non gli venne consegnata, ma accreditata e scrupolosamente amministrata onde egli potesse acquistare tutto quello che voleva, limitando la scelta a ciò che gli era consentito. Non gli era concesso ad esempio acquistare armi e munizioni o prezzolare procaci odalische.

L'ufficiale era buono, generoso: aiutò tutti, specialmente quelli del suo gruppo. Gran signore, non modificò in alcun modo il suo tenore di vita e continuò a condividere la sorte degli altri suoi compagni; se qualcosa si concedeva, ebbene: ce n'era anche per chi gli era vicino.

Da dove venivano tutti quei soldi? Dal Venezuela, dove il padre era proprietario di alcuni pozzi petroliferi che producevano a tutta canna. Non dispiaceva avere con noi uno che, volendo, avrebbe potuto acquistare il campo con tutto quello che c'era dentro e fuori! E gli inglesi lo sapevano.

Il diplomatico

Il colonnello italiano fu chiamato al cancello per ricevere un diplomatico neutrale giunto per incarico della Croce Rossa internazionale. Quando si vide davanti uno strano tipo di gagà giulivo che pareva uscito dal Tennis Club del Cairo, gli urlò che nelle circostanze specifiche di tempo e di luogo non ci si presenta così. Fece benissimo! La Croce Rossa funzionava bene per chi vinceva la guerra, meno per chi la perdeva, per nulla in Russia o nei Balcani. A uno di noi, bloccato in Africa da anni, giunse il seguente messaggio: "nati due gemelli. Tutto bene". Cosa non si riesce a fare oggi con la radio!
 

Giacomo Ferrera