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Missione in Turchia (1965) - di Giacomo Ferrera

 

 Il disegno che si trova

in questa pagina è

stato eseguito dall'autore

e rielaborato da  Teresa Ducci

 

 

 

 

 

 

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Capitolo V -  Roma - Istanbul - Ankara

Il Ministero della Difesa-Esercito, che sarebbe il ministero che difende l'esercito (e ne abbiamo tanto bisogno…), mi raggiunge con un dispaccio nella sede di Palmanova, da noi chiamata Palmanueva-les-Bains. Il testo dice che devo trovarmi al ministero suddetto la mattina di giovedì 12 agosto 1965 per una missione in Turchia. Siamo in pieno periodo vacanziero, per gli altri; ma io mi preparo, viaggio di notte, arrivo a Roma di buon mattino e mi precipito là dove sono convocato, pronto, secondo il solito, a salvare l'Italia.

Giovedì 12 agosto 1965

Mi presentò puntuale come una cannonata. Riconosco il casellario degli interpreti (c'è voluta una guerra perduta per censirli…) e la raccolta dei passaporti di servizio, sempre pronti: estraggono il mio, mi assegnano il compito da assolvere e mi elargiscono una mazzetta di dollari con istruzioni precise sull'uso dei medesimi. Sono nominato capo di una missione costituita da tre capitani: un artigliere, un carrista e un alpino.

Venerdì 13 agosto

E’ proprio la giornata ideale per volare, questa! Meno male che non sono affatto superstizioso. Si vola da Roma a Istanbul: cielo nuvoloso, temporale sullo Ionio. Sorvoliamo la Grecia: da uno squarcio fra le nubi, riconosco l'Attica e l'Eubea… Quindi, cielo sereno. Ecco la penisola di Gallipoli: ma guarda un po' chi si vede!

Arrivo Istanbul alle 18:00. All'aeroporto ci attendono due signori, come d'intesa con Roma: eccoli. Terminate le presentazioni, i rituali e le faccenduole varie, ci avanza una buona mezz'ora per una rapida visita alla moschea azzurra e a quella che era la chiesa di Santa Sofia. Fuori, di fianco alle moschee, ci sono le fontanelle per la purificazione: i fedeli si lavano i piedi con l'abituale disinvoltura e le vie respiratorie con rumoracci rivoltanti. Poi, prima di entrare, lasciano le calzature nell'apposito scarpaio o sandalaio e le riprendono all'uscita. A Napoli, i fedeli usciti di Chiesa si ritroverebbero tutti scalzi.

Entriamo: sembra di essere nella basilica di San Marco, tante sono le somiglianze architettoniche! Solo la presenza di alcuni fedeli in ginocchio, con la fronte sul tappeto e il sedere per aria, ci dice che siamo in una moschea.

L'artigliere è rimasto fermo all'ingresso, schiena contro la parete, perché ha un vistoso buco nelle calze.

Questa giornata non finisce mai! Prendiamo posto in un aereo delle linee turche (ve le raccomando!) e alle 20:00 arriviamo ad Ankara. Ci attende l'addetto militare dell'ambasciata d'Italia, maggiore degli alpini. Io, tanto per cominciare, gli faccio omaggio di tutto il materiale fotografico e cinematografico che egli aveva ordinato a Roma. Commosso, ringrazia e ci invita a cena.

La signora Laura, moglie dell'addetto, è di Milano. Soffre di nostalgia, e ne ha ben donde! A tavola siamo serviti da un “uomo di servizio”, perché là le donne per i lavori di casa e le hostess negli aerei non esistono: in genere, le loro donne sono sempre pesantemente insidiate. Le straniere poi, tempo e luogo permettendo, vengono addirittura aggredite, alla faccia della parità dei sessi. La signora racconta che aveva assunto il cameriere tramite un'agenzia, e che detto personaggio si era presentato con il tappeto delle preghiere avvolto sotto il braccio: era musulmano osservante, cosa cui lei non dette gran peso. Un giorno, girando per la casa, non vide più il servitore. Dove si era cacciato? Era nel bagno, inginocchiato sul suo tappeto, tutto intento a fare le riverenze proprio davanti alla tazza del cesso. Il bagno era l'unico ambiente rivolto verso la Mecca.

Pernottiamo all'albergo Barakan. Non è l’Hilton, ma proprio un Barakan

Sabato 14 agosto

Ankara, capitale dal 1923, sull'altopiano dell'Anatolia, metri 851 sul livello del mare, vicino alla vecchia Angora, già Ancyra, fondata dal mitico re Mida. Qui regnarono ittiti, persiani, macedoni, romani, bizantini, arabi, turchi  selgiukidi, ottomani.

Il governo della nuova Turchia, negli anni 20, regalò a tutte le ambasciate straniere vasti appezzamenti di terreno purché lasciassero Istanbul. L'Italia, cui fu concesso una zona ritenuta fin troppo ampia, ne occupò solo una parte e la recinto; la Germania, la cui ambasciata confinava con l'Italia, occupò un suo terreno più quello lasciato da noi, lo recitò e lo trasformò in un bel parco con galoppatoio e con altri sollazzi campestri. Invano la nostra diplomazia reclamò il terreno di sua pertinenza: la Germania non mollò il boccone.

Morale: gli italiani sono talmente scemi che non sanno ottenere quello che viene loro offerto su di un piatto d'argento.

Al mattino andammo a rapporto dall'addetto militare, che ha pochi contatti con l'ambiente militare turco tranne ricevimenti e cerimonie. Pochi sono pure i legami con la popolazione civile; unici amici, i frati cappuccini del convento vicino all'ambasciata. Egli ci affida ancora altre incombenze. Vedremo cosa potremo fare; nel pomeriggio, visita al palazzo del Parlamento e poi stesura del programma per i prossimi giorni.

Domenica 15 agosto

Ancora a rapporto dall'addetto militare.

Nel pomeriggio, visita alla tomba e al monumento di Kenal Ataturk, al museo ittita, al palazzo del presidente,al la vecchia Angora,all l'antica Ancyra della Galàzia. Ma Galàzia, secondo l'etimologia greca, non significa paese del latte? Difatti, nella remota antichità, qui erano tutti pastori, forse quelli che Senofonte chiama galattofagi, mangiatori di latte. Comunque, la famosa Galàzia è qui, e qui, a questo popolo, l'apostolo San Paolo indirizzò una delle sue famose lettere.

A Nord, sulle coste del Mar Nero, sempre verso oriente, ci sono le regioni anticamente chiamate Bitinia, Paflagonia, Ponto, Còlchide; verso est, l'Armenia e la Cappadocia, e a sud la Cilìcia: finalmente, dopo tante traduzioni di autori greci e latini, so dove si trovano. Da queste parti sono passati Erodoto, Ciro, Cambise, Alessandro Magno, Senofonte, imperatori romani, condottieri bizantini, turchi, ottomani. Oggi possiamo noi, in punta di piedi  e con rispetto, consapevoli di camminare sulla storia dell'umanità.

Giacomo Ferrera