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Missione in Turchia (1965) - di Giacomo Ferrera

 

 Il disegno che si trova

in questa pagina è

stato eseguito dall'autore

e rielaborato da  Adele Chiappisi

 

 

 

 

 

 

 

paesaggio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo VI -  Da Ankara ad Erzurum

Lunedì 16 agosto:

Ore 9:00. Partenza da Ankara per Erzurum su un aereo militare turco, un Dakota C 47 denominato “ cassa da morto”. Oltre ai due piloti e a noi, un carico di medicinali: bene, possono servire anche subito. Dopo un volo alquanto agitato a causa delle forti correnti d'aria, cerchiamo di atterrare su una pista a fondo naturale, a nord di Sivas, presso Erzurum. Trombe d'aria ben visibili perché portano in alto, turbini di sabbia e di polvere impediscono di prendere terra; dopo alcuni tentativi e dopo le conseguenti virate, il pilota si decide e tenta l'atterraggio. Finiamo in un turbine e poi in un vuoto d'aria, che si traduce in una caduta di circa 40 m. L'aereo sbatte sulla pista, rimbalza e scricchiola da tutte le parti; i cartoni dei medicinali ci rovinano addosso. Ora possiamo scendere: vediamo! Carrello sgangherato, ala destra leggermente storta per lo sforzo. Ma ce l'abbiamo fatta, siamo arrivati e ci salutiamo.
- Arrivederci! Dicono i piloti in turco.
- Speriamo di no! Rispondiamo noi, in italiano.

I piloti si ritirano negli alloggi; l'aereo viene trainato in officina, dove viene riparato con sistemi artigianali e rimesso in servizio dopo alcuni giorni. Al suo primo volo, sulla rotta Erzurum-Trebisonda, perde un'ala e precipita con a bordo una squadra militare di calcio: nessun superstite. Era l'aereo che avremmo dovuto prendere nel viaggio di ritorno ad Ankara.

Ore 11.50: arriviamo ad Erzurum, sull'altopiano anatolico, a 950 m- sul livello del mare, sede del comando di una grande unità turca. Ci presentiamo al generale comandante, il quale ci affianca un maggiore come accompagnatore e come interprete per tutte le visite programmate e per tutte le attività da svolgere. Questo maggiore turco è molto colto, ha studiato anche alla scuola militare di El Paso (USA) ed è di ampie vedute.

Alloggiamo al circolo ufficiali e consumiamo i pasti alla mensa, dove il generale con il suo stato maggiore prende posto su di una specie di palco onde mettere maggiormente in evidenza il suo livello gerarchico. La mensa puzza di montone, piatto nazionale; gli alloggi puzzano di caprone, perché tappeti e coperte sono di lana. Dovunque, puzza di acido capronico: finiremo per esserne impregnati e per portarcela addosso in Italia. I servizi igienici sono rivoltanti; dai rubinetti dei lavandini cola un liquido giallastro.

Nel pomeriggio, usciamo e visitiamo due moschee, delle quali una è famosa per i due minareti tronchi a causa di un terremoto; tra un anno esatto, nell'agosto 1966, un altro terremoto ridurrà Erzurum a un cumulo di macerie. Ne parlerà tutto il mondo. Quella bella moschea tutta ricoperta di ricoperta di ceramica azzurra non esiste più.

Capitolo VII – Erzurum, Sarikamis, Kars

martedì 17 agosto

Vista la situazione igienico sanitaria, raccomando di mangiare solo cibi cotti e di bere e o caffè o bevande sigillate previa pulizia dell'imboccatura, perché qui i colibatteri e le amebe prosperano. Se avete sete, tenetevela; per sopportarla, masticate uno stecco o un sassolino: parla l'esperienza del Sahara. Prediche al vento!

Le zone a est di Erzurum  e tutte le vie di comunicazione verso il confine sovietico sono interdette ai turisti, i quali qui non arrivano perché l'ambiente è scoraggiante. Comunque, le strade sono controllate da posti di blocco; partiamo da Erzurum di buon mattino: percorriamo strade a fondo naturale, di estremo interesse. Dobbiamo fermarci due volte per cambiare le ruote, forate o tagliate. Come mai? Osservo il fondo stradale e vedo numerosi ciottoli di selce scura che, quando si spezzano, diventano lame taglienti e punte così aguzze da bucare copertoni di autocarri. Ma questa, all'età della pietra, era una miniera inesauribile: le utensilerie Solingen e le fabbriche Krupp di quell'epoca erano qui… Manca il tempo per approfondire le ricerche.

Ma come vivono queste pecore che vedo pascolare grasse e ben pasciute se non c'è né erba come foraggio né acqua per abbeverare? L'erba cresce, rada, bassa e strisciante, buona e ricca di umori: alimento completo.

Sarikamis è un enorme complesso di caserme costruite con mano d'opera coatta turca dai russi invasori nel 1917, centro rioccupato dai turchi all'inizio degli anni 20; prendiamo contatto con le unità del posto e ci diamo da fare.

Mercoledì 18 agosto

Sempre a Sarikamis continuiamo a prendere contatto con le unità, che sono numerose e potenti.

Giovedì 19 agosto

A Kars, a est di Sarikamis: avanzando verso la frontiera sovietica, qui si trova un altro insieme di unità di pronto impiego. Visitiamo due posti di frontiera, mettiamo in funzione una radio ricetrasmittente e cerchiamo di intercettare qualche messaggio. Il maggiore turco che ci accompagna scuote la testa e non capisce; prendo io le cuffie e sento Rita Pavone che canta, naturalmente in italiano: “per le che sei la mia passione/io ballo il ballo del mattone”. Trasmettono da Leninakan, il grande centro abitato che abbiamo davanti a noi. Traduco:

-   It is an Italian song: the brick-dance

-   Das ist ein Italienisches Lied: der Ziegelsteintanz

a dire il vero, la cosa non interessa granché, ma costituisce una variante sul tema che stiamo svolgendo.

Lungo la strada che conduce a Kars abbiamo notato alcuni villaggi in cui animali e persone convivevano pacificamente negli stessi locali. Di solito, questi agglomerati di catapecchie sono tagliati in due da un ruscelletto che raccoglie i liquami dalle stalle e dalle case; quelle chiare, fresche e dolci acque vengono adoperate per lavare, per rigovernare, per bere e per cucinare. La gente gode ottima salute, forse perché è auto vaccinata. Uomini e donne sono belle persone, di bambini che sguazzano giulivi in quel lerciume sono biondi e rosei; se fossero lavati rivestiti, sembrerebbero olandesi o svedesi.

Di qui è passata la grande immigrazione degli indoeuropei diretti verso nord; i Gàlati hanno voltato a ovest e hanno popolato la Gallia, la testa della colonna è arrivata in Scandinavia e la coda si è fermata qui. Non ci sono alberi, manca la legna per fare fuoco. Per alimentare i focolari si adoperano, diciamo così, torte di vacca impastate a mano e appiccicate ai muri del paese per farle disseccare. Siamo nelle steppe dell'Asia.

Giacomo Ferrera