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Missione in Turchia (1965) - di Giacomo Ferrera

 

 I disegni che si trovano

in questa pagina sono

stati eseguiti dall'autore e rielaborati da

Adele Chiappisi, Maria Pompea Coluzzi,

Teresa Ducci e Lucia Maria Izzo

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Capitolo VIII – Ani, la città fantasma

venerdì 20 agosto

Posto di frontiera. Il confine è segnato dal corso del fiume Aras. Al nostro arrivo il posto di osservazione sovietico, situato su di una vistosa altana, distacca due soldati verso il fiume. I due procedono fieri e marziali, ma non appena scesi dall'altra sponda del fiume, fuori dal campo di vista dei loro superiori, depongono il fucile, si liberano dello zaino, si levano giacca e berretto, si stravaccano sull'erba e si mettono a fumare beati.
Per reciproca convenzione è proibito usare carte e binocoli, indicare, fare fotografie. Ma io mi fotografo il paesaggio nella mente: potrei rappresentarlo con uno schizzo.
Entro nella città fantasma, vuota, disabitata, circondata da mura possenti. Sulla grande porta, come fregio, la svastica persiana; dentro, le colonne del foro Romano, gli edifici pubblici, muri di case private e resti di abitazioni ancora ben conservate: sembra di essere a Pompei. Un grande edificio sulla sponda del fiume era un monastero di suore, perché la città era popolata da armeni convertiti ormai da tempo al cristianesimo.

Qui, fino al 1917, ha lavorato un archeologo russo dei musei di Pietrogrado, non ancora Leningrado, non ancora San Pietroburgo. I suoi reperti sono ancora riuniti in una sala ricoperta da una volta: li esamino con commozione, perché sono il primo europeo che mette piede nel locale da allora, dall'avvento del bolscevismo cui nulla importava dell'archeologia. Noto frammenti di terracotta ornata, strumenti di pietra, certe ciambelle di sasso che servivano per torcere i fili di lana: manufatti che risalgono a migliaia di anni prima dell'era cristiana. Sono tentato di mettermi qualche oggetto in tasca, dato che sono solo, ma non lo faccio per rispettare il lavoro che l'archeologo ha dovuto interrompere e che qualcuno riprenderà.

Fuori città, sul fianco della collina vicino al fiume, si aprono numerose caverne, ma non c'è tempo per visitarle, bisogna andare. Riesco comunque a fotografare la svastica e a visitare una chiesa cristiana che si trova nei pressi, ancora ben conservata perché viene adoperata dai pastori come ovile durante i temporali e dei musulmani come luogo di preghiera ad Allah. Entro e resto ammirato: fasci di colonne, archi a sesto acuto… La costruzione e dell'VIII-IX secolo dell'era cristiana: ma lo stile gotico è nato qui! Chiedo al collega turco che cosa significhi quella vecchia scritta a carbone sul muro interno della Chiesa e gli legge e traduce: “qui Selgiuq entrò a cavallo e conquistò la città”. Siamo nel X secolo, ma dobbiamo tornare all'epoca nostra perché la giornata è ancora piena di impegni.

 

 

Capitolo IX – Erzurum e dintorni

Sabato 21 agosto

Da Sarikamis ad Erzurum: continuiamo il giro fra i reparti

Domenica 22 agosto

Interessante la visita alla divisione che combattè contro i russi a Kars e a Sarikamis e che riconquistò Erzurum nel 1917.

Oggi il capitano degli alpini sta male: ricovero in ospedale con febbre e gravi disturbi intestinali ha bevuto l'acqua fresca di un pozzo… Devo sgomberare l'ufficiale in Italia via aerea non sentirò di certo la sua mancanza, perché mi è stato più di impiccio che di aiuto: sulle truppe da montagna ho più esperienza io di lui.

Da lunedì 23 agosto a venerdì 27 agosto

In giro continuo fra i reparti della zona, ho raccolto dati che possono comunque interessare, dalla viabilità alle escursioni termiche, dall'addestramento all'impiego delle varie unità.
Il collega turco che fa da interprete e guida non è astemio: negli intervalli di mezzogiorno e della sera ci facciamo dei succulenti pranzetti a base di montone arrosto con cipolle crude e ottimo vino di Trebisonda. Egli conosce dei bei posticini… Tanto pago io. Così diventiamo amici.
Faccio in tempo a scrivere la relazione sull'attività fino a oggi svolte.

Giacomo Ferrera