D'ANNUNZIO

 

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Il Trionfo della morte, IX

"Come la sua bellezza si spiritualizza nella malattia e nel languore!" pensava Giorgio. "Così affranta, mi piace di più. Io riconosco la donna sconosciuta che mi passò d'innanzi in quella sera di febbraio: la donna che non aveva una goccia di sangue. Io penso che morta ella raggiungerà la suprema espressione della sua bellezza. Morta! - E s'ella morisse? Ella diventerebbe materia di pensiero, una pura idealità. Io l'amerei oltre la vita, senza gelosia, con un dolore pacato ed eguale."
Si ricordò che già qualche altra volta egli l'aveva immaginata bella nella pace della morte. - Ah, quella volta delle rose! Nei vasi languivano larghi mazzi di rose bianche: in un giugno, nel principio degli amori. Ella s'era assopita sul divano, immobile, quasi senza respiro. Egli l'aveva contemplata a lungo. Poi, per una improvvisa fantasia, l'aveva coperta di rose, piano piano, cercando di non destarla; le aveva composto su i capelli alcune rose. Ma così infiorata, inghirlandata, ella gli era parsa un corpo esanime, un cadavere. Atterrito dalla parvenza, egli l'aveva scossa per destarla; ed ella era rimasta inerte, tenuta da una di quelle sincopi a cui in quel tempo andava soggetta. Ah il terrore e l'ansia, prima ch'ella avesse ricuperati i sensi, e misto al terrore l'entusiasmo per la sovrana bellezza di quel volto straordinariamente annobilito da quel riflesso di morte!
dannunzio


 

 

 

 

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Test e immagini a cura di Paola Lerza- pagine web a cura di Lidia Locci

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