L'uomo guarda se stesso

a cura di Paola Lerza e Gemma Tardivelli

 

 
 

«Chi sono? Donde vengo? Dove vado?». Le domande canoniche che l'uomo si pone da sempre, nel tentativo di motivare razionalmente la propria esistenza, riguardano lui stesso, il singolo, l'io. Ma mentre una risposta razionale è stata ed è oggetto di ricerca da parte del filosofo, il poeta si dispone all'autoanalisi partendo da un'ottica soggettiva, personalissima, che solo attraverso l'elaborazione artistica raggiunge parametri universali.
L'antichità classica è piuttosto avara di poesia a carattere introspettivo, preferendo in genere, nell'ambito della lirica, componimenti encomiastici, amorosi o d'occasione. Più personale rispetto al mondo greco appare l'elegia latina, in cui il poeta parla diffusamente di se stesso e dei propri stati d'animo, senza tuttavia giungere a vere e proprie meditazioni esistenziali, che restano prerogativa degli ambienti filosofico-religiosi, soprattutto nel periodo di crisi che caratterizzò i primi secoli dopo Cristo.
Il Medioevo tende a proiettare l'individuo sullo sfondo del rapporto uomo-Dio, avvertendone problematicamente le contraddizioni e le difficoltà. L'io è quindi spesso oggetto di un'analisi tormentata e a volte spietata; su di lui grava talora quel senso di colpa che deriva dall'essere uomo e che spinge costantemente alla ricerca di una non facile redenzione.
I secoli successivi, più protesi alla scoperta della realtà esterna e dei rapporti socio-politici in genere, offrono pochi spunti alla meditazione intimistica e soggettiva: il singolo, considerato ora parte integrante di un tutto armonico, ora infinitesimo frammento del cosmo, rimane prevalentemente oggetto, e non soggetto di analisi.
La grande affermazione dell'io come essere unico e irripetibile, dotato di forza creativa, si ha in epoca romantica, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando il nuovo individualismo - esasperato a volte fino al titanismo - condurrà alla riscoperta della dimensione interiore. I poeti romantici, italiani e stranieri, hanno offerto testimonianze di altissimo valore artistico, che vanno dal ripiegamento malinconico su se stessi all'autoesaltazione eroica, in una serie variegata e ricchissima di soluzioni.

Nel mondo poetico moderno l'io mantiene una posizione di grande rilievo, sottolineata ulteriormente dagli enormi divari che la nostra epoca ha aperto tra scienza e coscienza, tra società e individuo, tra le molte possibilità di illudersi e l'unica realtà del quotidiano. Una prospettiva così contraddittoria fa sì che su un pianeta sovrappopolato l'io si ritrovi solo, che nell'era della telematica si scopra incapace di comunicare, che di fronte ai prodigi della scienza appaia sempre più restio ad accettarsi come persona limitata e mortale. I poeti colgono oggi su se stessi queste antinomie e le traducono nei loro versi con varie tonalità che, prendendo le mosse da un senso generale e comune di stanchezza, vanno dalla rassegnazione disincantata per una sorte immutabile alla volontà - coscientemente inutile - di ribellione e di fuga.

 

LO SPECCHIO DELLE PAROLE
VOCE ETIMOLOGIA SIGNIFICATO
EGO

voce latina: «io»

termine usato in psicanalisi per indicare l'io.
ALTER EGO

voce latina: «un secondo io, un altro io»

persona che ne rappresenta piena­mente un'altra e ne costituisce un sosti­tuto; in psicanalisi indica lo sdoppia­mento di personalità.

SUPER EGO

voce latina:«super-io»

in psicanalisi, il modo di essere dell'io sotto il profilo etico e comportamentale. Tale modo è condizionato dall'educa­zione ricevuta (genitori, ambiente so­ciale, ecc.).

EGOCENTRISMO

da egocentrico (dal fr. égocentrique)

atteggiamento mentale che subordina all'io ogni aspetto della realtà esterna.

EGOISMO

dal fr. égoisme

eccessivo amore di se stessi, anche a scapito del bene altrui.

EGOTISMO

dall'ingl. egotism

esaltazione eccessiva di se stessi; eccesso di introspezione.

IDENTITA'

dal lat. tardo identitas

l'essere identico; l'insieme delle carat­teristiche peculiari di una persona o cosa; in psicanalisi, la coscienza di se stessi e della propria personalità.

NARCISISMO

da narciso, «giovane frivolo e vanitoso». Nel­la mitologia, Narciso era un giovane che si invaghì della propria immagine riflessa nel­l'acqua

atteggiamento di eccessivo amore e compiacimento per la propria persona.

SOLIPSISMO

comp. del lat. solus «solo» e ipse «stes­so»

dottrina filosofica che ritiene l'io come l'unica realtà esistente; teoria che as­sume come norma etica fondamentale l'utile individuale; egocentrismo esasperato.

TITANISMO

da titano, gigante mito­logico che con altri suoi simili fece guerra a Zeus

spirito di ribellione contro forze o entità superiori (il destino, la divinità, il po­tere...).

VITTIMISMO

da vittima

atteggiamento di chi vuole mostrarsi vittima degli eventi o degli altri.

A COLLOQUIO CON LA PROPRIA ANIMA

1 - Adriano, Animula; 2: Marco Aurelio, Ricordi, X, 1

Gli autori di questi due componimenti sono assai più noti per la loro attività politica che per quella letteraria: si tratta infatti di due imperatori romani che, a distanza di circa trent'anni uno dall'altro, espressero con lucida consapevolezza la propria dimensione umana. Le loro parole hanno il sapore del bilancio, il tono di chi sta per conchiudere il suo ciclo vitale e appare già proiettato in una dimensione ultraterrena.
La tradizione vuole che Adriano abbia dettato i suoi versi - gli unici che possediamo di lui - sul letto di morte, quando già gli si profilavano davanti le tenebre dell'oltretomba pagano. Nello stile estetizzante e un po' lezioso della poesia del suo tempo l'imperatore rimpiange la vita passata, in cui l'anima, piacevole compagna del corpo, gli offriva momenti di distensione e di svago.
Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, appare invece più problematico, proteso nella speranza di raggiungere l'atarassia, l'imperturbabilità, l'assenza di desideri e di passioni che costituiva per gli stoici il sommo bene. Libera dai legami del corpo, oltre i confini dello spazio e del tempo, la sua anima potrà un giorno ricongiungersi allo spirito universale ed essere in armonia completa con il tutto.

 

1

O mia animuccia vaghetta e carezzevole,
ospite e compagna del corpo,
che ora te ne andrai in luoghi
palliducci, freddi e desolati,

e non mi darai più sollievo, come fai ora.

NOTE

1    animuccia: il breve componimento, scritto in uno stile artificioso, è ricco di vezzeggiativi anche aggettivali (vaghetta, palliducci) che hanno lo scopo di rendere più intimo il colloquio con l'anima.  
2    luoghi.... desolati: è la visione dell'oltretomba pagano, luogo sotterraneo immerso in una luce fioca (palliducci) e privo di vita (freddi e desolati).

 

2

Sarai dunque un giorno davvero buona, anima mia? e semplice e una e ignuda? e più visibile del corpo che tutta ti avvolge? Potrai dunque un giorno gustar condizione di pieno amore, di affetto immenso? E sarai davvero completa un giorno nella tua sazietà? con quello che oggi ti manca?
Oh! allora non desidererai più nulla, non cercherai più nulla, non cosa vivente, non inanimata cosa da cui attingere qualche godimento; non desidererai che ti sia concesso altro tempo, perché il piacere duri più a lungo, non opportunità di luogo, di spazio, di clima; non relazione e simpatie di compagni; bensì ti sentirai contenta della tua condizione presente, lieta di tutto quanto ti avviene. E infonderai in te persuasione che quanto possiedi, dagli Dei ti è concesso; e che tutto va bene, e che tutto anzi andrà bene, quello che agli Dei è caro e quello che intendono mandarti per dar salute a questo Vivente perfetto, buono, giusto e bello; questo Vivente che tutte le cose viene ingenerando e le contiene e le abbraccia e le raccoglie, via via che si dissolvono, per generazioni di simili altre.
Sarai dunque davvero un giorno così?
Un'anima capace di vivere in comune società con Dei e con uomini? un'anima che non conoscerà mai rimprovero, che non dovrà mai riceverne?


trad. E. Turolla, Rizzoli, Milano 1989.      

1    e semplice e una e ignuda: secondo la concezione stoica l'anima dopo la morte si spoglia del corpo (semplice e ignuda) per ricongiungersi, entro  breve tempo, al principio creatore universale.

2     E sarai... manca?: L'obiettivo ultimo del filosofo è il raggiungimento della sazietà, condizione in cui, non provando più né desideri né passioni, si resta imperturbabili. L'espressione un giorno è qui in forte contrasto con oggi e lo scarto temporale dà la misura della differenza delle due condizioni.
3     altro tempo ... più a lungo: è uno dei grandi desideri umani: avere più tempo a disposizione per godere più a lungo dei piaceri della vita.
4     dagli Dei: Marco Aurelio non rinnega la religione tradizionale: anche gli dei pagani sono parte dell'ordine cosmico che fa capo allo spirito universale, principio creatore di ogni cosa.
5     Vivente perfetto: è il cosmo, da cui trae origine ogni forma di vita e di movimento. Ogni singolo organismo deve contribuire al funzionamento del cosmo in armonia con esso ed essere riassorbito in esso al termine del suo ciclo vitale.
6      viene ingenerando.... altre: i cicli vitali si ripetono sempre uguali all'interno del cosmo.
7      che non conoscerà mai rimprovero: la dirittura morale è uno dei cardini della filosofia di Marco Aurelio
.
 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Quali espressioni, nei due componimenti, sottolineano la dimensione umana dell'anima? Quali invece la proiettano verso un'altra dimensione?

...alla riflessione sul testo...

I due autori hanno della propria anima e del destino che la attende una concezione assai diversa. Riflessioni.

...alla produzione oltre il testo

In quali accezioni usiamo oggi i termini «animo» e «anima»? Sono termini equivalenti o dotati di autonomia di significato?
 

CLICCA - Immagini realizzate da Alida Fonnesu e Teresa Ducci

PASSA LA NAVE MIA

F. Petrarca, Canzoniere CLXXXIX

L'inquietudine e il tormento che derivano da uno stato d'animo stravolto da aspre passioni costituiscono il nucleo tematico del sonetto costruito su una finzione allegorica: l'immagine della nave che solca un mare in tempesta è il mezzo attraverso il quale il poeta confessa il cupo travaglio della sua anima.

  Passa la nave mia  colma d'oblio

per aspro mare, a mezza notte, il verno

enfra Scilla e Cariddi; et al governo

siede 'l signore, anzi 'l nimico mio;

 

  a ciascun remo un penser pronto e rio,                                  5

che la tempesta e 'l fin par ch'abbi a scherno;

la vela rompe un vento umido, eterno

di sospir, di speranze e di desio;

 

  pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni

bagna e rallenta le già stanche sarte,                                    10

che son d'error con ignoranzia attorto.

 

  Celansi i duo mei dolci usati segni;

morta fra l'onde è la ragion e l'arte:

tal ch'i' 'ncomincio a desperar del porto.


 

METRO: sonetto (schema ABBA, ABBA, CDE, CDE)

NOTE

la nave mia: la nave è la vita stessa che è colma d'oblio perché, travolta dalle passioni, è dimentica di sé e di ogni dovere.

aspro: «agitato, furioso».

a mezza notte, il verno: la nave è immaginata in navigazione nella stagione (l'inverno) e nell'ora (mezzanotte) meno propizie; è così accentuato il senso di turbamento che connota l'inizio del sonetto.
Scilla e Cariddi: il poeta allude a pericoli imminenti e mortali riferendosi ai gorghi e agli scogli dello stretto di  Messina. Scilla è l'alta rupe sporgente all'entrata dello stretto, assai pericolosa per i naviganti; Cariddi è il vortice di fronte alla rupe Scilla.
al governo: «alla guida della nave».
'l signore: è Amore.
'l nimico mio: Amore è nemico perché procura tormento e infelicità; Laura infatti non corrisponde il sentimento del poeta, il quale peraltro sente anche, con smarrimento, che una passione sensuale lo distoglie dal suo puro amore per la donna.
a ciascun remo ... rio: «a ciascun remo (siede) un pensiero audace e malvagio». Continua l'allegoria della nave, governata da Amore e mossa da remi, ogni battere dei quali è un pensiero colpevole.
che la tempesta... scherno: «che pare schernire la tempesta (del cuore del poeta) e il naufragio (che l'attende)», cioè la morte e la rovina dell'anima.
vento umido, eterno: il vento, che rappresenta i sospiri, le speranze e i desideri del poeta, è umido perché gonfio di passione ed è eterno perché senza sosta.
desio: «desiderio».
pioggia di lagrimar: «pioggia di lacrime».
nebbia di sdegni: l'espressione indica l'atteggiamento sdegnoso di Laura nei confronti del poeta.
sarte: «sartie», ormai fradice e non più resistenti (stanche).
che son ... attorto: «(le sartie) sono (fatte) di errori attorti con l'ignoranza».
Celansi... segni: gli occhi di Laura, che sono per il poeta due dolci guide, si celano, come si nascondono le stelle che indicano ai naviganti la rotta.
La ragione e l'arte: «la scienza e l'arte del navigare», cioè la capacità di vivere conformemente alla ragione.
tal ch'i'... porto: il poeta, inquieto e tormentato, dispera di di salvarsi dalla tempesta della vita.

 

CLICCA - Immagini realizzate da Fernanda La Marca e Rita Marianella

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Nel sonetto l'immagine della nave è allegorizzata attraverso una serie di particolari. Individuarli e interpretarli.

...alla riflessione sul testo...

Cogliere la condizione di tormento interiore del poeta e motivare il suo inquieto smarrimento.

...alla produzione oltre il testo

La ricerca all'interno di noi stessi porta spesso alla luce un fondo di inquietudine, di angoscia e di insoddisfazione. Quali motivi possono determinare questa condizione di disagio interiore?


 

IL DUBBIO AMLETICO

W. Shakespeare, Amleto a. III sc.1

Amleto, l'eroe shakespeariano del dubbio, affronta in un famosissimo monologo l'eterno dilemma tra vita e morte, tra il rischio di vivere nella sofferenza e la certezza di perdere l'unica cosa che si possiede, l'esistenza. È una strada senza via d'uscita quella intrapresa dall'uomo-Amleto, un percorso che cozza contro l'impossibilità assoluta dei mortali di prevedere il proprio destino. Così la scelta di vivere sopportando passivamente quello che la sorte riserva può tradursi in un atto di vigliaccheria, un non voler sottoporre se stessi ai mali, forse ancora maggiori, dell'ignoto che si apre oltre la morte. Amleto, che nel monologo mostra tutta la sua fragilità di essere umano, diventa quindi un simbolo: l'eroe negativo dell'incertezza consapevole e dell'attaccamento alla vita che costituiscono, in ultima analisi, la condanna eterna e il tratto distintivo dell'uomo.

AMLETO:

Essere, non essere qui sta il problema: è più degno patire gli strali, i colpi di balestra, di una fortuna oltraggiosa, o prendere armi contro un mare di affanni, e contrastandoli por fine a tutto? Morire, dormire, non altro, e con il sonno dire che si è messo fine alle fitte del cuore, a ogni infermità naturale alla carne, grazia da chiedere devotamente. Morire, dormire. Dormire? sognare forse. Ecco il punto, perché nel sonno di morte quali sogni intervengano a noi sciolti da questo viluppo, è pensiero che deve arrestarci. Ecco il dubbio che tiene in vita a così tarda età gli infelici, perché chi vorrebbe subire la sferza e gli sputi del tempo, i torti dell'oppressore, contumelie dall'uomo arrogante, pene per l'amore sprezzato, remore in luogo di legge, gli uffici e la loro insolenza, e gli oltraggi che il merito paziente ha inflitti dalla iniquità, quando egli stesso, nient'altro che con un pugnale, potrebbe far sua la pace? Chi vorrebbe portare some, gemere, smaniare sotto una vita opprimente, se lo sgomento di qualcosa dopo la morte, l'inesplorato dei continenti dalla cui frontiera non c'è viaggiatore che torni, non intrigasse la volontà, facendo preferire il peso dei mali presenti al volo verso altri di cui non si sa? È la coscienza che ci fa vili, noi quanti siamo. Così la tinta nativa della risoluzione si stempera sulla fiacca paletta del pensiero, imprese di grande flusso e momento insabbiano il loro corso e perdono il nome di azione.

trad. L. Squarzina, Newton Compton, Roma, 1990

NOTE


essere, non essere: vivere, esistere, oppure no: questo è il dubbio di Amleto.
gli strali: «i dardi», cioè i colpi.
balestra: arma da lancio simile all'arco ma governata da una leva.
fortuna oltraggiosa: «destino avverso».
Morire, dormire: spesso il sonno, in quanto stato di incoscienza e di immobilità, è stato accostato all'immagine della morte.
fitte... carne: la morte può porre fine alle sofferenze dell'anima e del corpo.
Ecco... intervengano: il sogno rappresenta nel sonno di morte un elemento di disturbo, un qualcosa di ignoto che può turbare la quiete immobile della morte stessa, il fattore di rischio che non siamo in grado di calcolare e che ci tiene avvinghiati alla vita.
viluppo: «groviglio».
contumelie: «offese».
remore: «indugi, ritardi».
gli uffici: i doveri imposti dalla società.
gli oltraggi... iniquità: chi lavora pazientemente è spesso offeso e umiliato dai malvagi.
non intrigasse la volontà: la paura della morte e di quello che può esserci dopo è sufficiente a confondere la volontà di chi sarebbe propenso a vedere nel suicidio una soluzione ai suoi mali.
la tinta ...pensiero: l'impulso dell'istinto perde vigore (si stempera) nel momento in cui subentra il ragionamento.
momento: «importanza»


 

PERCORSO DI LAVORO

 Dalla lettura del testo...

Ricercare nel testo tutte le espressioni che definiscono la morte.

...alla riflessione sul testo...

Per quale motivo il dubbio amletico non ha soluzione? Quale vi sembra la posizione dell'autore nei confronti della vita umana?

...alla produzione oltre il testo

II problema del suicidio ha trovato nei secoli diverse soluzioni filosofiche e religiose. Eseguite una breve ricerca in proposito ed esponete, se lo desiderate, il vostro parere a riguardo.
 

 

Immagine realizzata da Teresa Ducci

A se stesso

G. Leopardi, Canti

Con la conclusione di un'intensa parentesi amorosa il Leopardi consuma l'ultima illusione e rinsalda la consapevolezza dell'amara realtà della sua condizione di uomo che, pur cosciente dell'ineliminabile infelicità, ha ceduto agli inganni del cuore. Da questa dolorosa esperienza biografica nasce il breve canto A se stesso in cui sono affermati con ritmo rotto e vigoroso, «in una musica senza melodia e senza colori» (Binni), una totale aridità di sensazioni, il definitivo disprezzo per il mondo ridotto a fango, la coscienza eroica della tragica condizione degli uomini e della propria dignità morale.

 

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non vai cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta ornai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Ornai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.

METRO: strofe di sedici versi (endecasillabi e settenari)              

 

 

Immagine realizzata da Gisella Malagodi

NOTE

Or poserai per sempre: «ormai riposerai per sempre». Il poeta esprime la ferma volontà di non cedere mai più alle illusioni, dopo la dolorosa esperienza d'amore vissuta per Fanny Targioni Tozzetti, da lui conosciuta a Firenze nel 1830.

stanco mio cor: l'animo del poeta è prostrato per il susseguirsi delle disillusioni.

Perì l'inganno estremo: «fu distrutto l'ultimo inganno» del cuore, l'illusione d'amore suscitata dalla donna.

ch'eterno io mi credei: «che io credetti eterno».

Peri: il verbo, così isolato, esprime nella sua essenzialità il motivo tragico della caduta dell'inganno estremo.

ben sento ... spento: «sento ormai che non è spenta solo la speranza, ma anche il desiderio dei  dolci inganni d'amore in me e in te (mio cuore)».  Il cari riferito agli inganni sottolinea l'intonazione  affettuosa e nostalgica con cui il poeta si rivolge al mondo delle illusioni.

Posa per sempre: è ripetuta in tono più pacato l'esortazione del primo verso.

Assai: «fin troppo».

Non vai... tuoi: «nessuna cosa merita i tuoi palpiti»: il Leopardi afferma in questo modo con orgoglio la propria superiorità morale: egli demitizza il mondo e la vita.

Amaro e noia... mondo: l'unica realtà della vita umana è l'alternanza di dolore (amaro) e di noia.

T'acqueta omai: è da notare il climax discendente di questa esortazione rispetto a quelle dei versi 1 e 6.

Dispera l'ultima volta: «lascia per l'ultima volta le illusioni»: il Leopardi tende al totale annullamento di tutti i sentimenti; solo in questo modo potrà raggiungere la desiderata quiete.

Al gener nostro ... morire: la morte è l'unico dono concesso dal fato al genere umano.

disprezza... poter: «disprezza te (perché destinato alla morte e capace di abbandonarti alle illusioni), la natura (che genera gli uomini al dolore e alla noia) e il brutto poter (della maligna forza che regge l'universo)»

ascoso: nascostamente.

a comun danno impera: «con la sua potenza prepara per il danno degli uomini».

e l'infinita vanità del tutto: è la vanità dei dilettosi inganni negati dalla natura: l'espressione richiama il vanitas vanitatum et omnia vanitas («vanità delle vanità e tutto è vanità») dell'Ecclesiaste, ma con accezione diversa.
 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Studiare l'«architettura» del componimento e, individuati i contenuti, presentare lo sviluppo del pensiero del poeta.

...alla riflessione sul testo...

Nel canto A se stesso il poeta trascende il dato autobiografico per riaffermare, di fronte all'amara realtà del dolore e della noia, la fierezza della propria rivolta. Quali sono le componenti di questo clima di eroica tensione?

..alla produzione oltre il testo

Che cosa è la poesia? Perché il poeta scrive? Per chi scrive?
 

taci, anima stanca di godere

C. Sbarbaro, Pianissimo

In un colloquio disincantato con la propria anima, Sbarbaro esegue un lucido esame di se stesso: condannato al silenzio dell'incomunicabilità, ormai incapace di provare ogni genere di sentimenti, non può che sentirsi un estraneo, un «sonnambulo» nel deserto del mondo.
L'anima appare prima come entità indipendente, separata dal poeta; in un secondo tempo si fonde con lui, depositaria del suo disagio esistenziale.

 

Taci, anima stanca di godere
e di soffrire
(all'uno e all'altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile                                 5
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
                                Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.                                    10
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...

                               Invece camminiamo,                   15

camminiamo io e te come sonnambuli.

 E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.                                          20

La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
                               Nel deserto                                25

io guardo con asciutti occhi me stesso.

 

 

METRO: versi liberi, in prevalenza endecasillabi   
 

NOTE
Taci: è un indicativo, con il quale il poeta prende atto di uno stato di cose.

di godere e di soffrire: la gioia e il dolore suscitano nell'anima soltanto stanchezza e indifferenza.

rassegnata: la rassegnazione è l'unico sentimento presente nel poeta (cfr. anche v. 10).

Nessuna voce: torna il concetto del silenzio, del mutismo in cui l'anima si è rinchiusa (cfr. anche vv. 9 e 22).

tedio: «noia»: è un sentimento tipicamente leopardiano

rassegnazione disperata: «rassegnazione senza speranza», cioè senza rimedio o possibilità di mutamento dello stato delle cose.

se il cuore... il fiato: anche la morte non desterebbe stupore nel poeta, che si sente già interiormente morto.

come sonnambuli: il sonno è per Sbarbaro una sorta di vita parallela e apatica.

quel che è: nulla, cioè, può essere interiorizzato, con nulla si può comunicare al di là della vuota apparenza esterna.

la sirena del mondo: è la varietà dell'universo,secondo la definizione che ne dava D'Annunzio (Maia I, 47-49, 62-63): «Diversità, sirena/del mondo». Sbarbaro intende contrapporsi alla poesia coreografica dannunziana proponendo una poesia umile e dimessa.

Nel deserto ... me stesso: il poeta ribadisce la lucidità della sua autoanalisi, priva di cariche emotive e sentimentali (con occhi asciutti).

 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Isolare i sentimenti presenti nella lirica e individuare le espressioni che negano la loro esistenza nell'animo del poeta.

...alla riflessione sul testo...

Definire il rapporto che l'autore ha con la propria anima e con il mondo esterno.

...alla produzione oltre il testo

«Tutto è quello che è, soltanto quel che è». Siete d'accordo con questa affermazione? Quali riflessioni vi suggerisce?
 

 

Immagine realizzata da Gisella Malagodi

spesso il male di vivere ho incontrato

E. Montale, Ossi di seppia

Il male di vivere, perno della poetica montaliana, è il fondo di sofferenza esistenziale che intride ineluttabilmente tutti gli esseri viventi e che si percepisce in particolare nello spezzarsi violento del tempo. L'unico modo per sottrarsene è il distacco reso possibile dall' Indifferenza, una forma di assenza di dolore che diventa così un bene negativo. Le immagini suggerite dal poeta, nette e decise, determinano una forte antitesi tra le due strofe: nella prima si percepisce il rumore secco della vita interrotta; nella seconda i concetti di immobilità e di altezza segnano una dimensione lontanissima dal fluire quotidiano della vita.
 

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia riarsa,

era il cavallo stramazzato.

 

Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

 

METRO: due quartine di endecasillabi (a eccezione dell'ultimo verso, più lungo)secondo lo schema ABBA, CDDA.
 

Immagine realizzata da Gisella Malagodi

NOTE

il male di vivere: è il dolore, la sofferenza che accompagna e caratterizza la vita.

il rivo ... gorgoglia: «il ruscello che gorgoglia quando incontra un ostacolo» alla sua corrente. I verbi strozzato e gorgoglia, tipicamente umani, propongono un piano di lettura che va oltre il soggetto inanimato e suonano come un gemito.

incartocciarsi: anche questo termine, fortemente onomatopeico, esprime la sofferenza che deriva dalla fine di una vita (la foglia ormai disidratata che si accartoccia).

il cavallo: è l'ultimo elemento del crescendo che va dal regno minerale (il rivo) a quello vegetale (la foglia), a quello animale (il cavallo).

Bene non seppi: «non conobbi altro bene».

fuori ...Indifferenza: «se non il miracolo reso possibile dalla divina Indifferenza». L'Indifferenza, che il poeta scrive con la maiuscola per evidenziarne il valore, è una sorta di imperturbabilità difficile da ottenere per chi è immerso nella vita e nel tempo: è quindi qualcosa che ha del miracoloso (prodigio} e che appartiene a una sfera non umana (divina).

la statua ... meriggio: «una statua nel torpore pomeridiano». L'immobilità assente della statua è simbolo di distacco.
e la nuvola, e il falco: si tratta di esseri collocati in uno spazio aereo, celeste, in una simbolica posizione di superiorità e di lontananza dalle cose del mondo
.

 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Ricercare le voci onomatopeiche della lirica e spiegarne il significato nel contesto.

...alla riflessione sul testo...

Porre a confronto le due strofe, mettendone in evidenza le antitesi linguistiche e concettuali.

...alla produzione oltre il testo

Con riferimento alla lirica letta, commentare la seguente affermazione di Th. Eliot: «L'unico mezzo per esprimere emozione è di trovare un correlativo oggettivo, cioè una serie di oggetti, una situazione, che diverranno formula di quella emozione».
 

Edipo e l'enigma

J.L. Borges, Poesie (1923-1976)

Edipo, secondo il mito classico, fu colui che sconfisse la Sfinge, terribile mostro che divorava nei pressi dell'antica Tebe tutti coloro che non sapevano risolvere il suo enigma: «Quale essere, con una sola voce, ha al mattino quattro gambe, di giorno due e alla sera tre, ed è tanto più debole quante più gambe ha?». Indovinando la risposta l'Edipo di Borges, simbolo dell'uomo antico e moderno, vede riflessa nella Sfinge la propria immagine, proiettata sullo sfondo del tempo. La triplice forma della bestia mitologica allude infatti alle tre dimensioni temporali - passato, presente e futuro - che compongono la vita di ogni uomo, ma che dall'uomo non possono essere colte contemporaneamente. I versi conclusivi contengono il messaggio dell'autore: la completa coscienza del nostro essere ci schiaccerebbe con il suo peso se, per nostra fortuna, Dio non ci concedesse il volgere del tempo, e con esso la capacità di dimenticare.

 

Quadrupede all'alba, alto nel giorno
e con tre piedi errante nel vano
ambito della sera
, così vedeva
l'eterna sfinge il suo incostante fratello,

l'uomo, e con la sera un uomo venne
che decifrò atterrito nello specchio
della mostruosa immagine, il riflesso
del suo declino e del suo destino.

Noi siamo Edipo e in un eterno modo
la lunga e triplice bestia siamo,
tutto
ciò che saremo e ciò che siamo stati.

Ci annienterebbe scorgere l'ingente

forma del nostro essere; pietosamente

Dio ci concede successione e oblio.
 

trad. L. Bacchi Wilcock, Rizzoli, Milano 1980.

NOTE

Quadrupede all'alba: nella prima infanzia (alba) l'uomo cammina gattoni, a quattro zampe.

alto nel giorno: durante l'età adulta (il giorno) l'uomo sta in posizione eretta (alto)

con tre piedi... sera: «che cammina con tre gambe nell'arco ormai spento della vecchiaia». Da vecchio infatti l'uomo si serve del bastone per camminare. I primi tre versi definiscono i termini dell'enigma della Sfinge.

eterna sfinge (...) incostante fratello: la Sfinge, specchio esistenziale dell'uomo, è eterna, mentre l'uomo muta la sua forma e il suo modo di essere nel tempo.

il riflesso... del suo destino: decifrando l'enigma Edipo ha colto se stesso come essere umano destinato a soccombere nel volgere del tempo.

 in un eterno modo ... siamo: tutti gli uomini sono legati allo stesso destino che si srotola attraverso tre fasi, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia, come triplice è il corpo della Sfinge (la lunga e trìplice bestia), che ha testa di donna, corpo di leone alato e coda di serpente. Davanti alla Sfinge l'uomo coglie contemporaneamente tutte le sue dimensioni temporali: il suo passato, il suo presente, il suo futuro.

ingente: «enorme».

successione e oblio: il volgere del tempo (successione) consente all'uomo di vivere la sola dimensione del presente, dimenticando il passato (oblio) e ignorando il futuro.

 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Ricercare nel testo tutte le espressioni che hanno come riferimento l'essere umano e spiegarle.

...alla riflessione sul testo...

Edipo, la Sfinge e l'enigma assumono per Borges valore simbolico e alludono alla condizione esistenziale dell'uomo. In che senso?

...alla produzione oltre il testo

La soluzione di uno o più enigmi costituisce spesso la prova da superare per eroi di fiabe e leggende. Sapreste spiegarne il perché? Ricordate qualche esempio?
 

Immagine realizzata da Teresa Ducci