La solitudine dell'uomo

a cura di Paola Lerza e Gemma Tardivelli

 

 
 

Quando l'io si chiude nella soggettività e rifiuta il «discorso» con gli altri, la sofferenza dell'incomprensione e la povertà della non-comunicazione sono motivo di drammatiche situazioni esistenziali e determinano o acuiscono lo smarrimento di fronte alla realtà, l'incapacità di vivere, la consapevolezza dell'assurdità della vita, o addirittura portano al rifiuto del mondo. Ansia, angoscia e alienazione sono tanto più forti quanto più i rapporti di interrelazione degli uomini nella società organizzata si inaridiscono nella non-autenticità o nell'inerzia spirituale.
Anche la presa di coscienza dei condizionamenti che limitano l'individuo imprigionato in un «sistema» può determinare reazioni diverse: all'atteggiamento di resa o di fuga si contrappongono da una parte la volontà di modificare la realtà superando il ristretto ambito dell'io, dall'altra la protesta e la ribellione. E, quanto più è difficile l'accettazione del reale, tanto più l'espressione di rifiuto è violenta e i toni sono drammatici, ironici e dissacranti.

 

LO SPECCHIO DELLE PAROLE
VOCE ETIMOLOGIA SIGNIFICATO
ALIENAZIONE

dal lat. alienatio

trasferimento ad altri del dominio di un bene; infermità mentale; processo per cui la coscienza si estrania da se stessa; processo attraverso il quale viene sottratto all'uomo ciò che ha acquisito col suo lavoro; estraniazione dell'uomo rispetto a oggetti materiali e a rapporti sociali
ASOCIALE

composto di a- privativo e sociale

privo di coscienza sociale; che rifiuta di adattarsi alle regole di vita della società organizzata; di carattere introverso

ESTRANIAZIONE

dal lat. extraneus, deriv. di extra, «fuori»

rendersi estraneo da ciò a cui si è legati

ISOLAMENTO

da isola, isolare

il restare appartati in condizione di solitudine totale, sia essa imposta da altri o frutto di libera scelta

MISANTROPO

dal gr. misànthropos, comp. di misein, "odiare" e ànthropos "uomo"

che odia gli uomini, quindi spesso solitario

SOLITUDINE

dal lat. solitudo

lo stare da soli

LA SOLITUDINE DI AIACE

Sofocle, Aiace, 430-480

Sullo sfondo di una realtà umana in cui imperano efferatezza e violenza si consuma la tragedia di Aiace, disegnato da Sofocle come eroe grande e solo. A lui la dea Atena, ripetutamente offesa, offusca la mente. Nella pazzia egli, divenuto zimbello della forza divina, fa strage di pecore credendo di uccidere quei capi greci che gli hanno negato il possesso delle armi di Achille. Tornato in sé, è annientato dalla vergogna e, dal momento che per lui l'onore è il valore più grande, nell'impossibilità di trovare un modo per un rinnovamento spirituale, vede nel suicidio l'unica soluzione, L'infelice eroe, ostinato nella sua decisione, non viene piegato né dalle preghiere di Tecmessa, la sua donna, né dalla presenza del figlioletto, per il quale si prepara un futuro di dolore. Monolitico nella sua grandezza, isolato da tutti e coerente con se stesso fino in fondo, si getta sulla spada.
 

Ahi ahi! chi poteva supporre che il mio nome si accordasse in maniera così significante col mio destino? Ora posso dire e ripetere «ahi ahi, Aiace» poiché mi trovo in così grave sventura. Mio padre, dopo aver conquistato il primo e il più bel premio messo in palio tra i guerrieri, ritornò in patria da questa terra Idea colmo di onori. Io invece, suo figlio, sbarcato sugli stessi lidi della Troade, pur non essendo meno valoroso di lui, sebbene abbia dato prova di non minore valore, mi struggo vilipeso dagli Achei. Credo di comprendere chiaramente che se Achille , vivo, avesse dovuto riconoscere l'eccellenza di qualcuno nel valore, per assegnare le sue armi, nessun altro se le sarebbe meritate più di me. Ma gli Atridi le hanno assegnate a un individuo dall'animo furbo, disprezzando il mio eroismo. Ma se il mio occhio e la mia mente non mi avessero deviato dal proposito di ucciderli, gli Atridi non avrebbero mai più emesso un così ingiusto giudizio a detrimento di un altro . Ma Atena, figlia di Zeus, la dea con l'occhio di Gorgone mentre già volgevo la spada contro di loro, mi trasse in inganno e mi rese vittima di una folle incoscienza; e così ho macchiato di sangue le mani infierendo su spregevoli bestie. E quelli intanto esultano, sani e salvi contro la mia volontà. Se qualcuno degli dei ci vuoi male, anche il vile può sfuggire a uno più forte. E ora che cosa devo fare? Gli dei in modo evidente mi odiano, l'armata dei Greci mi odia, mi detesta tutta la Troade, mi detestano questi campi intorno. Dovrei, dopo aver lasciato questi lidi e gli Atridi, attraversare di nuovo il mare Egeo e ritornare in patria? E quale viso mostrerò a mio padre Telamone, quando gli comparirò davanti? Come potrà alzare il suo sguardo su di me quando mi presenterò a lui senza nulla, senza i premi del mio valore, a lui che raccolse gloriosi segni della sua virtù? Non è cosa sopportabile. O è meglio che, correndo contro le trincee dei Troiani, azzuffandomi da solo contro singoli nemici e compiendo qualche utile impresa, vada incontro finalmente alla morte? Ma così senza dubbio colmerei di gioia gli Atridi. Neanche questo è possibile. Eppure è da cercare una via, per dimostrare al mio vecchio padre che io non sono stato generato da lui di animo vile. È vergognoso che l'uomo desideri vivere a lungo, se non può portare nessun cambiamento alle sue sventure. Infatti a che cosa può giovare un giorno di vita in più, se questo, pur ritardandola, avvicina, appena è trascorso, la morte? Io non terrei in nessuna considerazione un uomo che si nutra di vane speranze; il dovere dei forti è o vivere nobilmente o coraggiosamente morire.

NOTE

Ahi... destino: l'eroe vede una relazione tra il suo nome Aiace e il grido di dolore ahi ahi.  Aiace e Odisseo, caduto Achille, si erano valorosamente opposti ai Troiani. Al loro eroismo i capi dell'esercito greco avevano pensato di destinare come premio le armi di Achille. Era nata così la controversia tra i due guerrieri per affermare il proprio diritto al possesso del trofeo. L'esercito aveva sostenuto Aiace, mentre Agamennone e Menelao avevano risolto la contesa a favore di Odisseo. Offeso per la mancata assegnazione dell'armatura, Aiace era stato preso da grande furore.

Mio padre ... guerrieri: il padre di Aiace, Telamone, secondo la leggenda, accompagnò Eracle nella prima spedizione contro Troia. Per le sue prove di valore gli fu concessa come schiava la fanciulla più bella, Esione, figlia del re troiano Laomedonte.

terra Idea: è Troia, detta terra Idea dal monte Ida.

Achei: i Greci.

Atridi: Agamennone e Menelao, figli di Atreo.

individuo ...furbo: è Odisseo, che per la sua astuzia aveva ottenuto l'appoggio di Agamennone e di Menelao.

la dea ... Gorgone: Atena aveva sullo scudo l'immagine di Medusa (Gorgone), che impietriva chiunque la guardasse.

infierendo ... bestie: Aiace si era avventato su animali, credendoli nella sua follia gli odiati avversari.

quelli: gli Atridi e Odisseo.

Gli dei... intorno: Aiace sente angosciosamente il proprio isolamento.

patria: la Grecia.

Come potrà alzare... virtù: per Aiace il valore più alto della vita è l'onore.
 
vivere ... morire: Aiace, ponendosi tale alternativa, si presenta come eroe monolitico, grande e solitario.


 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Ricostruire gli eventi che portano Aiace al suicidio.

...alla riflessione sul testo...

In Aiace il senso primitivo e tragico della propria forza si coniuga col senso primi­tivo dell'onore.

...alla produzione oltre il testo

Eseguire una breve ricerca sul mito di Aiace Telamonio.


 

 Immagine realizzata da Gisella Malagodi

SOLO E PENSOSO...

F. Petrarca, Canzoniere XXXV

Per nascondere agli uomini il suo tormento, Petrarca cerca rifugio nei luoghi solitari. La passione per la donna amata e i conflitti inferiori che questa determina nel poeta lo spingono a fuggire ogni contatto sociale e a cercare nella natura momenti di conforto al suo animo inquieto. Ma il pensiero dell'Amore lo perseguita, dovunque egli vada.

 

Solo e pensoso i più deserti campi

vo mesurando a passi tardi e lenti,

e gli occhi porto per fuggire intenti

ove vestigio uman l’arena stampi.
                            4
 

Altro schermo non trovo che mi scampi

dal manifesto accorger de le genti;

perché ne gli atti d’alegrezza spenti

di fuor si legge com’io dentro avampi;                       8
 

sì ch’io mi credo omai che monti e piagge

e fiumi e selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.                             11
 

Ma pur sì aspre vie né si selvagge

cercar non so ch’Amor non venga sempre

ragionando con meco, et io co llui.                          14

 

 

 

METRO: sonetto (schema ABBA, ABBA, CDE, CDE)

NOTE

vo mesurando: «vado misurando». È un modo di dire per indicare un'andatura costante e cadenzata.

 

e gli occhi... stampi: «e tengo gli occhi intenti a evitare luoghi nei quali le orme umane abbiano lasciato il segno sul terreno (l'arena)». Il poeta cioè rifugge i luoghi frequentati dai suoi simili.

 

schermo: «difesa».

 

dal manifesto... genti: «dal fatto che le persone si accorgano manifestamente del mio stato d'animo», che appare chiarissimo nell'atteggiamento esterno.

 

negli atti... spenti: «nei gesti privi di allegria».

 

avampi: «sia tormentato» dal fuoco d'amore.

 

omai: «ormai».

 

piagge: «campi».


tempre: «tipo, tenore».

 

ch'è celata altrui: «che è nascosta agli altri», cioè agli uomini.

 

Amor: il sentimento dominante, signore e padrone dell'anima, compare spesso nei poeti amorosi medievali personificato e scritto con l'iniziale maiuscola


ragionando... llui: «parlando con me, e io con lui». La costruzione parallela e la ripetizione della preposizione con (meco = «con me») sottolineano la stretta reciprocità del rapporto.
 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Individuare nel testo le espressioni simmetriche - sinonime o in antitesi - e impostare un'analisi stilistica del sonetto.

...alla riflessione sul testo...

Nella sua ricerca di solitudine e nel suo sfogo amoroso il poeta interagisce con il paesaggio, che diventa unico referente della sua anima. Riflessioni.

...alla produzione oltre il testo

Il desiderio di solitudine come momento di dialogo con se stessi è avvertito anche
dall'uomo moderno, per il quale però è sempre più difficile trovare gli spazi fisici
adatti. Ai deserti campi che la nostra civiltà non è
più in grado di offrirci si sostituiscono spazi mentali o sogni di impossibili evasioni.


 

Immagine realizzata da Teresa Ducci

IL PASSERO SOLITARIO

G. Leopardi, Canti

Dall'osservazione della vita di un passero solitario il poeta sviluppa il tema della propria solitudine, attraverso una serie di analogie che consentono un continuo parallelismo con l'animale. Al canto appartato dell'uccello corrisponde quello del poeta, incapace di integrarsi nella normale quotidianità dei rapporti sociali e quindi «diverso» rispetto ai suoi coetanei. Ma, mentre il passero risponde a un istinto naturale e vive inconsapevolmente - e quindi non dolorosamente - la sua condizione, il poeta ha piena coscienza della triste necessità che lo domina e del pentimento, che giungerà amaro e vano, quando ormai sarà troppo tardi.
L'intera lirica, accuratissima nelle soluzioni stilistiche, è giocata su similitudini e parallelismi: accanto al binomio portante passero-poeta si colgono con facilità le allusioni simboliche alle fasi detta vita umana. La primavera e la radiosità del giorno sono infatti raffigurazioni della giovinezza, mentre il calare del sole e il lento venir meno della luce simboleggiano l'inevitabile vecchiaia, sullo sfondo di una campagna senza confini e di un borgo quasi sospeso tra lo spazio e il tempo.
 

     D’in su la vetta della torre antica,

Passero solitario, alla campagna

Cantando vai finchè non more il giorno;

Ed erra l’armonia per questa valle.

Primavera dintorno                                               5

Brilla nell’aria, e per li campi esulta,

Sì ch’a mirarla intenerisce il core.

Odi greggi belar, muggire armenti;

Gli altri augelli contenti, a gara insieme

Per lo libero ciel fan mille giri,                               10

Pur festeggiando il lor tempo migliore:

Tu pensoso in disparte il tutto miri;

Non compagni, non voli,

Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;

Canti, e così trapassi                                          15

Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.


     Oimè, quanto somiglia

Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,

Della novella età dolce famiglia,


E te german di giovinezza, amore,                         20

Sospiro acerbo de’ provetti giorni,

Non curo
, io non so come; anzi da loro

Quasi fuggo lontano;

Quasi romito, e strano

Al mio loco natio,
                                              25

Passo del viver mio la primavera.

Questo giorno ch’omai cede alla sera,

Festeggiar si costuma al nostro borgo.

Odi per lo sereno un suon di squilla,

Odi spesso un tonar di ferree canne,                    30

Che rimbomba lontan di villa in villa.

Tutta vestita a festa

La gioventù del loco

Lascia le case, e per le vie si spande;

E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.                    35

Io solitario in questa

Rimota parte alla campagna uscendo,

Ogni diletto e gioco

Indugio in altro tempo: e intanto il guardo

Steso nell’aria aprica  
                                      40

Mi fere il Sol che tra lontani monti,

Dopo il giorno sereno,

Cadendo si dilegua, e par che dica

Che la beata gioventù vien meno.


     Tu, solingo augellin, venuto a sera                45

Del viver che daranno a te le stelle,

Certo del tuo costume

Non ti dorrai;
che di natura è frutto

Ogni vostra vaghezza.


A me, se di vecchiezza                                    50

La detestata soglia

Evitar non impetro,

Quando muti questi occhi all’altrui core,

E lor fia vóto il mondo,
e il dì futuro

Del dì presente più noioso e tetro,                      55

Che parrà di tal voglia?

Che di quest’anni miei? che di me stesso?

Ahi pentirommi, e spesso,

Ma sconsolato, volgerommi indietro.
 

METRO: endecasillabi e settenari liberi.

NOTE


torre antica: è la cima del campanile della chiesa di S. Agostino a Recanati, il paese in cui il poeta trascorse la giovinezza segregato nella dimora paterna.

 

passero solitario: si tratta di una specie particolare, più grande del passero comune. Il poeta gioca sull'aggettivo solitario inteso anche nella sua normale accezione.

 

cantando vai: «continui a cantare».
 

more: «muore».
 

ed erra ... valle: il verso, particolarmente musicale e costruito sui suoni liquidi -rr-/-ll-, dilata indefinitamente i confini spaziali della lirica.


Primavera ... aria: la stagione primaverile allude alla giovinezza.
 

per li campi esulta: «si spande gioiosamente per i campi». È la forza vitale della primavera.


mirarla: «guardarla».
 

Odi... armenti: il poeta usa il «tu» generico, impersonale. Il verso contiene una costruzione a chiasmo (greggi belar, muggire armenti).

 

gli altri augelli: «gli altri uccelli», diversi dal passero solitario.

 

pur... migliore: «anch'essi intenti solo a festeggiare la primavera», che è notoriamente la stagione degli amori, quindi migliore. Sul piano metaforico si ripropone l'immagine della giovinezza.

 

miri: «guardi». Il passero è pensoso, ma l'aggettivo è in realtà riferito al poeta.

 

non ti cal: «non t'importa». Il passero è indifferente all'esuberanza dei suoi simili e non cerca compagnia.

 

trapassi... fiore: «trascorri il più bel periodo dell'anno e della tua vita» (altra allusione alla giovinezza), cantando, e il canto è assimilabile all'attività poetica.

 

costume: «tipo di vita». L'esclamazione dolorosa introduce un brusco cambiamento di scena e il poeta diventa protagonista in prima persona.


Sollazzo ... non curo: "non mi curo di divertimento e di risate, dolci compagni (famiglio) della gioventù (novella età), né (mi curo) di te, o amore, fratello (german) della giovinezza, che fai sospirare aspramente nell'età matura (provetti giorni)». Una volta trascorsa la giovinezza infatti gli uomini rimpiangono gli amori passati.


romito: «solitario»
 

e strano al mio loco natìo: «estraneo al mio stesso paese natale», cioè Recanati, nel quale il poeta non si sente integrato.
 

festeggiar si costuma: «si è soliti festeggiare». Non è chiaro di quale festività si tratti.
 

Odi... squilla: nell'aria serena si sente un suono di campana (squilla).
 

tonar... canne: un colpo di fucile.

e mira... s'allegra: i giovani del luogo escono di casa, guardano e sono guardati, e questo è per loro motivo di gioia.

 

alla campagna uscendo: il poeta non va per le vie, ma rimane nei luoghi solitari (rimota parte) della campagna.

 

indugio: «rinvio, rimando».

 

e intanto ... Sol: «e intanto il sole mi ferisce lo sguardo disteso nell'aria luminosa (aprica)». Il sole, simbolo di vita e di gioventù, ferisce il poeta.

 

solingo augellin: «uccellino solitario»; è il passero.


venuto ... stelle: "giunto al termine del periodo che ti è stato concesso dal destino (le stelle)".
 

del tuo costume non ti dorrai: «non proverai dolore per il tuo modo di vivere».

 

natura ... vaghezza: «ogni vostro comportamento è determinato dalla natura». Gli animali infatti obbediscono all'istinto naturale inconsapevolmente e quindi in modo indolore.


 A me ...: si avverte qui fortissima la contrapposizione con il tu del v. 45. Il poeta oppone amaramente la sua condizione umana a quella del passero. Il pronome di prima persona (a me) è anticipato per rimarcare l'effetto di antitesi, ma si collega sintatticamente al v. 56: che parrà di tal voglia? [«che cosa sembrerà a me di questo desiderio (di solitudine)?»].


se di vecchiezza ... impetro: «se non ottengo in sorte (impetro) di evitare la soglia odiosa della vecchiaia»; se cioè raggiungerò l'età della vecchiaia, definita «detestabile» da una lunga tradizione poetica che affonda le sue radici nella lirica greca.
 

quando muti... mondo: «quando questi miei occhi non sapranno più dire nulla (muti) al cuore altrui e per loro il mondo apparirà (fia) vuoto». La vecchiaia è vista come una condizione di incomunicabilità e di indifferenza verso il mondo.
 

pentirommi: «mi pentirò»
 

PERCORSO DI LAVORO

 Dalla lettura del testo...

Le tre strofe in cui si suddivide la poesia sviluppano tre diversi momenti del ragio­namento del poeta. Individuare i nuclei tematici di ciascuna strofa facendone una sintesi.

...alla riflessione sul testo...

La cornice ambientale della lirica presenta un paesaggio dai contorni sfumati, ricco di sensazioni visive e uditive e spesso carico di valenze simboliche. Motivare.

...alla produzione oltre il testo

L'espressione leopardiana la gioventù del loco/ lascia le case, e per le vie si spande/e mira, ed è mirata, e in cor s'allegra ha una sua indiscutibile attualità. Commentarla facendo riferimento alle abitudini dei giovani d'oggi.
 

 

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MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

E. Montale, Ossi di seppia

Il paesaggio scabro dell'aspra estate ligure nelle ore immobili del meriggio oggettiva il senso dell'assurdità della vita e la consapevolezza della solitudine e dell'esclusione. Vana è l'inquieta ricerca del rapporto con gli altri, così come è inutile cercare una spiegazione al vivere. Per l'uomo non esiste altra possibilità che quella di abbandonarsi al ritmo monotono di un'esistenza senza tempo. La grande immagine finale nella sua «essenziale icasticità» (F. Croce) sottolinea con evidenza l'inutilità della ribellione e l'invalicabilità della vita.

 

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, sfrusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia                             5
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare fra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare                                         10
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia                                      15
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

METRO: quattro strofe di versi liberi rimati (schema AABB, CDCD, EEFF, GHIGH)            

Immagine realizzata da Teresa Ducci

NOTE

 

Meriggiare: «trascorrere le prime ore del pomeriggio», quando il caldo è più afoso e pesante il torpore. I verbi all'infinito stanno a indicare il fatto che l'io del poeta è annullato, abbandonato al ritmo monotono della vita.

pallido e assorto: pallido per il gran caldo e assorto in diversi pensieri.

rovente muro: c'è il capovolgimento della consueta scena idillica, in cui un luogo fresco e ombroso dona ristoro nelle ore calde dell'estate.

schiocchi: sono i versi secchi del merlo.

veccia: pianta erbacea con semi tondeggianti di colore scuro.

spiar... formche: le formiche, come gli uomini, continuano vanamente ad affaccendarsi.

a sommo di minuscole biche: «sulla sommità dei mucchietti di terra»; propriamente la bica è il mucchio dei covoni di grano.

scaglie di mare: l'immagine rende il trascolorare cangiante del mare nel sole.
tremuli scricchi: «il frinire».
calvi picchi: la sommità delle alture, arsa per il caldo, è priva di verde.

E andando ... bottiglia: il paesaggio disarmonico e aspro introduce a questa dolorosa presa di coscienza del proprio destino di solitudine e di sconfitta: la vita è arida, senza un perché, è seguitare un muro reso ancora più invalicabile dai cocci
di vetro, cercando un varco che non esiste.

 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Individuare nella poesia quelle sequenze di suoni aspri (sibilanti, liquide...) che danno luogo a fonosimbolismo nella rappresentazione di un paesaggio anti-idillico e della condizione desolata dell'uomo.

...alla riflessione sul testo...

Particolari di una realtà dimessa e quotidiana oggettivano per Montale il senso dell'assurdità della vita e il destino umano di solitudine e di esclusione. Spiegare con puntuali riferimenti al testo.

..alla produzione oltre il testo

Presentare la condizione dell'umana esistenza secondo Montale
 

CONDIZIONE

G. Caproni, Il muro della terra

La condizione in cui il poeta si trova è quella della solitudine e dell'incomunicabilità: il mondo è un deserto; gli uomini sono murati nell'egoismo e privi di forza vitale, ogni dialogo è un non-dialogo. O meglio è un dialogo con i morti, con uomini cioè imprigionati nell'isolamento e votati a un destino di resa.

 

Un uomo solo,


chiuso nella sua stanza.


Con tutte le sue ragioni,


Tutti i suoi torti.


Solo in una stanza vuota,                  5


a parlare. Ai morti.

 


METRO: versi liberi. I versi 4 e 6 rimano.
 

NOTE

 

Un uomo ... stanza: gli uomini sono chiusi nel  loro isolamento e nel loro egoismo.


Solo ... parlare: la condizione di solitudine  implica l'impossibilità di comunicare.


morti: i morti sono i vivi, imprigionati in un mondo vuoto e incapaci di altruismo.


 

PERCORSO DI LAVORO

Dalla lettura del testo...

Quale condizione umana viene definita da Caproni?

...alla riflessione sul testo...

Cercate di definire il rapporto del poeta con il mondo e con gli uomini.

...alla produzione oltre il testo

Vi siete mai sentiti soli, pur essendo circondati da un sacco di persone?
 

 

Immagine realizzata da Elvira Tognini