ex cathedra

Ho fatto quello che potevo?

Credo che sia una delle domande più pesanti per chi insegna. La frase che nessuno di noi vorrebbe dover prendere in considerazione, la frase che spesso si accompagna a un fortissimo senso di colpa. Ce la rivolgiamo quando dobbiamo decidere se fermare un ragazzo o mandarlo avanti, quando soppesiamo la necessità di un intervento disciplinare e quando, purtroppo, scopriamo che nessuno può fare più niente. Proprio ieri la notizia della morte di un mio ex alunno che aveva ormai 37 anni ma che ricordo adolescente, con un gran ciuffo di capelli scuri, sguardo furbetto, fisico gracile ma scattante. Una delle tante notizie che leggi , ma che non ti toccano più di tanto : “identificato l’uomo trovato morto alla Stazione Centrale, si tratta di un alcolizzato di 37 anni”; devo aver letto la notizia qualche mese fa e ieri qualcuno mi ha detto, indicandomi la madre che ricordavo bene perché in questi anni ci siamo incontrate spesso in quartiere, che l’uomo era proprio suo figlio, il mio ex alunno. So per certo che per lui non avrei potuto fare niente: è stato mio alunno solo per due anni e poi si parla di 25 anni fa; l’avevo perso di vista. Però la sua morte mi ha fatto venire in mente un altro ragazzo, G. . Se penso a lui la parola che gli associo è “segnato”. Quarto o quinto figlio di una donna che, per come la ricordo, era tanto fertile quanto incosciente; giusto per capire il tipo: nel momento in cui una delle figlie si lamentò delle attenzioni del compagno della madre non ci mise né uno né due a sbatter fuori di casa… la figlia. Gli altri fratelli, non si capisce bene come, in qualche modo si erano tirati fuori, uno era riuscito a prendere un diploma all’alberghiero e faceva il barman, una si era sposata, una era andata in convento, una frequentava le superiori. L’ambiente non era certo dei più favorevoli, il Gratosoglio di Milano: quartiere dormitorio, bande di ragazzi, ladruncoli, spacciatori e tutto il contorno, classico ambiente da dispersione scolastica. Per G. fin dalla prima media si erano attivati sia il Consiglio di classe sia l’extrascuola: per lui richiesta dei minimi, doposcuola, riunioni periodiche e, così facendo eravamo riusciti a portarlo fino alla terza media. In terza media lo perdemmo; smise di frequentare nonostante gli avessimo quasi assicurato la Licenza: volevamo che avesse la possibilità di trovarsi un lavoro decente che gli garantisse un futuro. Successivamente ne avemmo notizie sporadiche da una bidella che abitava vicino a lui: carcere minorile e poi la droga. Quando ebbe 18 anni dovette partire per il servizio militare, non aveva neanche il cambio di biancheria. Facemmo una colletta tra quelli che l’avevano avuto come alunno e la bidella comprò il necessario, mi disse dopo che G. aveva accettato con le lacrime agli occhi, perché non immaginava che ci ricordassimo di lui. Naturalmente dopo qualche giorno lo rispedirono a casa: la sua dipendenza dalla droga era troppo evidente. Nel frattempo era arrivato alla scuola media l’ultimo dei suoi fratelli, ovviamente con gli stessi problemi. Anche per lui la stessa trafila: arrivato in terza media sparì. Qualche tempo dopo, tornando dal ponte di Sant’Ambrogio, notai che sulle pareti dei vialetti dei box , che nel nostro quartiere si trovano in basso rispetto al livello della strada, era comparsa una scritta che si ripeteva per tutta la lunghezza dei vialetti: “ G. non ti dimenticheremo mai”. Il giorno dopo, a scuola seppi che il fratello minore era andato a cercarlo per il pranzo nella stanzetta dove abitava e l’aveva trovato stroncato da un’overdose, allora aveva riempito il quartiere di tutte quelle scritte quasi a voler sfogare così la sua rabbia e il suo dolore. Però aveva ragione: io G. non lo dimenticherò mai. Qualche anno fa, saputo che una mia ex alunna si era fidanzata col fratello di G. avevo cercato di convincerlo a dare gli esami di licenza media come privatista, mi sembrava, così, di fare qualcosa anche per G., gli avevo cercato dei testi semplici e gli avevo suggerito come prepararsi, non si è mai presentato agli esami. Avrei potuto fare qualcosa di più? Forse sì.

Marina Bassi