ex cathedra

Roberto: una finestra oltre il confine

Sono passati ormai quasi undici anni da quando Roberto, un bambino autistico, gravissimo, entrò nella mia classe, in prima elementare…
Fu subito evidente la sua estrema gravità. Roberto non si teneva neppure in piedi da solo, aveva gli occhi girati sempre da una parte, a guardare oltre e lontano. Sembra sia una caratteristica, questa, dell’autismo. Non parlava. Una volta seduto al banco, incominciava a battere, ritmicamente ed ossessivamente, il braccio sul banco…
La mamma, come tutte le mamme dei ragazzi gravemente handicappati che non vogliono soccombere a se stesse ed al loro dolore, era una leonessa in lotta con il mondo intero.
Da subito ci minacciò di denunce e ci inondò di richieste; ricordo che ci disse una cosa che sarebbe poi risultata esatta: -Ricordate che sembra che Roberto non senta e non capisca nulla, ma capisce tutto! State attente a parlare di lui, a quello che dite… lui a casa si fa capire e mi sa dire se lo trattate male!-
Dopo qualche giorno, entrò la Direttrice, sorridente, tenendo per mano due bimbi Rom che voleva inserire nella classe… le bastò uno sguardo per fare dietrofront… poi ci mandò a chiamare, manifestandoci tutta la sua comprensione e dicendoci che un caso così grave, secondo lei, non aveva speranze!
Roberto era seguito dall’Associazione Anni Verdi, che si occupa di autismo. Noi insegnanti di classe, insieme all’insegnante di sostegno ed all’AEC contattammo il personale dell’associazione per organizzare un lavoro meglio coordinato.
Ciò fu utilissimo. A quanto pare, gli autistici vivono nel caos, ed hanno invece bisogno di riorganizzare lo spazio ed il tempo, hanno bisogno di rituali certi e sempre identici, imparano in modo automatico, ripetendo all’infinito gli stessi gesti…
Così, organizzammo in un angolo della classe l’angolo di Roberto, con uno scaffale su cui erano posti dei giochi e dei materiali per lavorare, un cartellone con disegnate le attività della sua giornata. Naturalmente, come sempre nelle elementari, tutto era stato costruito con materiali a portata di mano.
Ricordo che cercammo anche di sviluppare i suoi sensi con il fuoco di una candela e con il ghiaccio, con lo scoppio dei palloncini, con l’uso dei colori dita, facendogli toccare la carta vetrata… ed altre amenità del genere.
Insomma, a poco a poco, Roberto migliorò notevolmente: imparò a stare in piedi e seduto, mentre all’inizio era sdraiato su un materassino, gli fu tolto il pannolone, imparò perfino a fare le scale ed a portare il cibo alla bocca.
Un’enorme scoperta avvenne in terza elementare, quando la nuova insegnante di sostegno, Letizia, che era anche psicologa, volle provare a vedere se Roberto riusciva a riconoscere le vocali: fu grande la nostra meraviglia quando ci accorgemmo che, in qualche modo, sconosciuto anche a noi, il bambino aveva memorizzato le lettere dell’alfabeto!
L’anno dopo, ancora un’altra insegnante di sostegno, che fortunatamente rimase con noi due anni, Anna. Le dissi di quanto avevamo scoperto l’anno prima, e lei volle continuare su questa strada. Insieme all’AEC organizzarono un lavoro sulle SILLABE… e ci accorgemmo che Roberto SAPEVA LEGGERE!!!
Andando avanti col tempo, attraverso i metodi suggeriti dalla “comunicazione facilitata”che imparammo a gestire, riuscimmo a stabilire un rapporto con Roberto. All’inizio eravamo tutti quasi increduli, poi fortemente emozionati!
Dunque, la mamma aveva ragione: Roberto CAPIVA molto più di quello che noi ritenevamo, aveva imparato in classe pur non partecipando direttamente… Si volle provare anche con i numeri; non solo Roberto li riconosceva, ma, sempre con la comunicazione facilitata, riuscì ad eseguire facili addizioni e sottrazioni…
Ormai il dado era tratto: con un insegnante specialista privato Roberto scrisse al computer; fra le altre cose scrisse, per esempio, che il padre se ne era andato e viveva a Milano, era vero…
Io credo che il motivo principale per cui con Roberto si è riusciti a comunicare ed a fare questi progressi, è stato anche perché c’è stato un lavoro di equipe fra noi insegnanti di classe, le insegnanti di sostegno e l’AEC, per cui ognuno cercava di dare un contributo ed ascoltava i consigli dell’altro, senza competizione.

Che fine ha fatto Roberto?
Lo abbiamo seguito per un po’, ma ora non sappiamo dove stia e cosa stia facendo.
A poco a poco, credo che la madre abbia finito con il lasciarlo in Istituto perché, diventando adulto, occorreva sempre più forza per gestirlo…
Questo aprirebbe lo spazio per un altro grosso problema: come si possono gestire adulti con gravissime difficoltà? Finché sono bambini, in qualche modo, c’è una copertura anche da parte delle istituzioni, ma poi?

Ě un mistero la mente umana e misterioso è ciò che nasconde: tutto un mondo di sentimenti che non appaiono, che è sempre possibile comunicare agli altri. Se ciò è vero per casi così gravi, dovrebbe essere più facile comunicare fra noi, anche con culture diverse.
Ma, purtroppo, non sempre è così.

 

Gabriella Nasi