ex cathedra

 Omaggio a un maestro

Si chiamava Fritz Bornman e insegnava Letteratura greca all’Università di Genova.

Se amo la scuola e cerco di dare il massimo nel mio lavoro, lo devo in gran parte al fatto di aver avuto, da studentessa, alcuni grandi Maestri, che mi hanno fatto apparire il mestiere dell’insegnante come il più bello del mondo, e che col loro esempio sono stati i fari della mia vita. Bornman era uno di loro.

Si chiamava Fritz Bornman e insegnava Letteratura greca all’Università di Genova.

Studiai con lui per cinque anni, quattro di laurea e uno di specializzazione; al sesto – l’ultimo per me – lui ebbe il trasferimento a Firenze, la sua città, dove poi morì, ancora piuttosto giovane, alcuni anni dopo. Sì, Firenze era la sua città… lo si sentiva dalla parlata pulita, appena sfiorata da un lieve e gradevolissimo accento toscano. Ma dal nome si capiva la sua origine tedesca, e in effetti, beato lui, padroneggiava perfettamente anche quella lingua. Insomma, il filologo classico ideale.

Sarebbe noioso e riduttivo ricordare la sua competenza straordinaria, la sua indiscussa professionalità, la sua dedizione quasi sacra al lavoro, la sua serietà di docente e di uomo. Varrebbe invece la pena di insistere sulla sua umanità, profondissima ma sempre controllata da un carattere schivo e riservato, sul suo stile impeccabile nel relazionarsi con tutti, sulla sua signorilità come scelta di vita. Qualità che facevano di lui un personaggio forse poco appariscente, ma sicuramente prezioso per coloro che avevano la fortuna di incontrarlo.

Mi piace ricordarlo adesso, dopo tanti anni dalla sua scomparsa, attraverso due aneddoti divertenti, insignificanti forse nell’iter di una vita, ma esemplari del carattere e della personalità dell’uomo.

Il primo. Erano gli anni ’70 e la contestazione studentesca si trascinava ancora, dura e violenta. Un giorno un gruppo di facinorosi, guidato da un energumeno in jeans stracciati, fece irruzione nella facoltà per far sgomberare le aule e buttare i “baroni” fuori dalle loro roccaforti. Molti cattedratici si barricarono nei loro studi chiudendo a chiave le porte, molti se la svignarono, molti piagnucolarono davanti all’energumeno dicendo che non era colpa loro, che da allora in poi avrebbero dato più “trenta” e che certe cose “non le avrebbero fatte più”. Bornman no. Lui tenne aperta la porta del suo studio e, quando l’energumeno fece irruzione facendo vibrare i vetri delle ante, si alzò in piedi, esile figura in giacca e cravatta, gli tese la mano e disse semplicemente:

-       Piacere, Bornman.

Bastarono queste due parole a disarmare l’energumeno, che restò lì come un allocco per qualche secondo, con la mano in quella del professore, senza sapere cosa dire né cosa fare. Solo quando il prof. gli indicò la sedia e gli disse “prego, si accomodi” lui trovò la forza di girare sui tacchi e di andarsene, muto, facendo uscire i suoi scagnozzi dallo studio, alla spicciolata e in silenzio.

Il secondo episodio  successe a Firenze. I turisti tedeschi che visitavano la città erano, a detta di Bornman, tanto numerosi quanto villani e non facevano il minimo sforzo per comunicare con i locali, magari in italiano, o per farsi almeno capire scandendo meglio la loro lingua. Anzi, usavano spesso il tedesco in modo arrogante, spesso biascicandolo malamente, pretendendo di essere capiti. Una volta il professore venne fermato da un turista teutonico che con fare altezzoso, senza preamboli e con una pronuncia semidialettale lo apostrofò così:

-       Wissen Sie wo der Bahnhof steht? (“Sa dove è la stazione?”)

L’impeccabile Bornman, che nel raggio di qualche miglio era probabilmente l’unica persona in grado di capire e di rispondere, guardò con aria costernata il turista e gli rispose candido:

-       Non capisco… parlez vous français?

Un mito, professore, eri un mito, e per quello che mi hai insegnato, anche e soprattutto al di là del greco antico, non posso dirti che grazie.

 

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Paola Lerza