ex cathedra

C'era. Una volta.....
 

La prima volta, a scuola, Clara, Mario e Piero erano stati accompagnati dal neurologo che li seguiva.
Erano “ospiti” di una casa-alloggio del paese che raccoglieva persone di ogni età, mentalmente deboli, problematiche, insomma, quelle che normalmente definiamo “matti”. Quell’anno avrebbero seguito il corso serale delle 150 ore e, se ce l’avessero fatta, avrebbero preso il diploma di terza media, che nelle speranze dei più deboli socialmente, nei lontani anni ottanta, appariva come la chiave per aprire il mondo del lavoro, quello vero, quello assicurato, non rischioso, non precario, non sottopagato.
Non fu facile i primi tempi per loro … con loro.

Clara era una giovane donna di 23 anni, la bellezza appannata da tristezza, pallore e dalla vacuità di uno sguardo che rivelava la terapia. Era la più sveglia dei tre, comunque, silenziosissima, capo spesso chino sulle carte che andavamo esaminando, non partecipava alle discussioni in classe. Per tutto il primo quadrimestre quasi non sentii la sua voce. Rimase assente per una settimana. Ci informarono che aveva litigato col ragazzo che si era fatta nella Casa. Si erano picchiati selvaggiamente e avevano dovuto dividerli con la forza. Aveva deciso di lasciarlo e lui voleva ucciderla di botte. Episodi frequenti lì, ci dissero gli educatori. Quando rientrò era uguale a se stessa, la Clara di sempre ma poi, in modo quasi impercettibile, cominciò ad alzare gli occhi dal banco, non si guardava in giro, non parlava coi compagni ma guardava noi e la luce cominciò a brillarle negli occhi, viva finalmente.

Mario era il più grande dei tre, il più malato. A 40 anni ne contava 15 in Germania a lavorare come falegname. Era normale Mario fino a quando non fu violentato di notte da un gruppo, da un branco col quale trascorreva le serate. Non si era più ripreso, era rientrato in Italia ed era finito in manicomio. Poi le porte dell’ospedale psichiatrico s’erano aperte per tutti, ma lui non ce l’aveva fatta a tornare a vivere e stava lì, nella Casa, ogni tanto lo ricoveravano perché andava in delirio. Ci raccontò la sua tragedia durante le lezioni. Mario “entrava in analisi” durante le discussioni che si facevano, parlando con noi tutti. Gli altri studenti ascoltavano le “puntate” della storia raccontata quando era più libero dai farmaci che lo tenevano più sereno, perché riuscisse a rimanere tutte quelle ore insieme a noi. Si assentò un paio di volte, per oltre dieci giorni, ogni volta, ricovero necessario.

Piero, adolescente, una montagna di uomo che di ragazzo aveva solo i tratti teneri del volto. Di lui ci avevano parlato gli educatori che li seguivano e seguivano noi, a guidarci in alcuni comportamenti da osservare per favorire l’integrazione e socializzare serenamente. Era stato trovato tre anni prima accanto alla madre morta per le percosse del marito, in un momento di ordinaria ubriachezza. Piero era rimasto a lungo senza parlare, il muro del silenzio era l’unico ostacolo che era riuscito a frapporre tra sé e l’orrore vissuto.
La sua una condanna senza remissione: schizofrenia.

Che anno fu quello! S’impara a capire quanto profonda sia la diversità di coloro che perdono, senz’appello, e perdono ancora quando gli altri s’arrendono e mollano, quando la malattia è più forte e li divora.
Clara, però, ce l’ha fatta. Ha preso il suo diploma, ha deciso di continuare, che dalla Casa voleva riuscire a venir via. Ha sconfitto la malattia e gli orrori della sua vita, ha continuato a studiare, alla sera. Tre anni dopo ha conseguito un diploma di qualifica e lavora in quel paese, che non era il suo ma l’ha accolta. Ha ripreso il suo bambino, ormai cresciuto, nato da violenze senza fine e senza nome da lei quindicenne, strappato al suo amore, riguadagnato a sè con un potente atto di volontà, quando ha potuto farlo. La seguo attraverso un’amica del posto. Sono felice per lei. Degli altri taccio, ma voglio che voi ci pensiate. Io lo faccio spesso. La loro non è una storia che finisce bene.
Racconto ai miei ragazzi di oggi, quando appaiono in difficoltà per motivi che, sinceramente, mi sembrano, a questo punto, così tanto futili, la storia di Clara che ce l’ha fatta, perché rinforzino il loro carattere. Quelle di Mario e Piero le tengo per me. Sapranno meglio questi ragazzi, quando saranno diventati uomini, che la sconfitta non è mai una scelta.

Sonia Solomonidis