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Bastardi senza gloria

 

Francia 1941... Così inizia il nuovo film dell'unico e inimitabile Quentin Tarantino; se ci aspettiamo un film storico abbiamo sbagliato serata.

Il genio statunitense si riconferma maestro nell'uso della macchina da presa: strumento e pensiero s'accordano all'unisono in emozionanti sequenze per creare una vera e propria opera d'arte. Emerge preponderante e senza chiedere permesso, sin dalla prima scena, la lezione del grande Sergio Leone, con i suoi primi e primissimi piani dominati dalla musica (un “Per Elisa” rivisto e corretto), con le zoomate in sequenza... ma lascerò a chi, più esperto di me, potrà analizzare l'aspetto tecnico in maniera più corretta e completa.

Tarantino dichiara tutto il suo amore per il cinema rielaborando vari topoi della settima arte unendoli armonicamente l'uno con l'altro; merita sicuramente nota la sequenza della preparazione della Dark Lady Emmanuelle che si accinge a gustare la sua vendetta “senza gloria”. Degna di un film Noir d'altri tempi. Moltissime le citazioni cinematografiche inserite: il già sopra menzionato Sergio Leone, il cinema tedesco degli anni venti. E poi come non riconoscere nell'Orso Ebreo il De Niro degli Intoccabili e infine il geniale omaggio a Marlon Brando, alias Don Vito Corleone, reinterpretato da un ottimo Brad Pitt.

Eccellente il perfetto accostamento tra musica, immagini e parole, marchio di fabbrica di Quentin che un'altra volta riesce ad elaborare una sceneggiatura fenomenale con dialoghi esilaranti che poggiano sull'ironia delle varianti linguistiche. Grandiosa la scena del rendez vous nel bar scantinato, organizzato da un'improbabile spia tradita da una scarpa e un fazzoletto autografato, nella quale tutta l'azione si gioca sui diversi accenti del tedesco. Eccezionale l'entrata nel teatro, probabilmente di maggior soddisfazione in lingua originale, dove Brad Pitt si confronta con la pronuncia del siciliano.

Tarantino dimostra di conoscere e sapere utilizzare magnificamente le regole di ripresa nel primo capitolo del film: il dialogo tra il cacciatore di ebrei e il povero contadino francese potrebbe rappresentare un esempio all'interno di un manuale di stile cinematografico per la sua perfezione dei tempi, delle inquadrature e del loro raccordo. Ma se il film si limitasse a una mera descrizione delle tecniche registiche non saremmo andati a vederlo e infatti sta qui tutto il genio del regista: il sapere trascendere le regole usando stili e tecniche diverse, fondendo il tutto in un'unica grande emozione. Emerge subito l'eredità della Nouvelle Vague nel dialogo tra il capitano Aldo e il soldato tedesco che, impaurito dall'Orso ebreo, tradisce senza esitazione alcuna i suoi compagni: la macchina da presa, fluttuando come nell'etere, sembra non avere limiti di movimento seguendo le parole e i movimenti, semplicemente fantastico!

Incantevole il gusto per il grottesco e la caricatura presente in varie parti del film (si pensi alla pipa del cacciatore di ebrei, ad esempio) che fiorisce in tutto il suo splendore nella figura di Hitler e non può che farci ricordare il piccolo omuncolo già portato sul grande schermo da Chaplin, con i suoi atteggiamenti isterici e i farfuglii senza senso. Questo elemento porta Tarantino ad una scelta e un trucco perfetto degli attori per interpretare i capi del movimento nazional socialista tedesco e lo stesso personaggio del cacciatore di ebrei è impeccabile nella sua cinica crudeltà.

Se dal primo capitolo si può avere il dubbio di essere in presenza di un Tarantino che abbia perso il gusto per lo splatter è un'idea che dobbiamo presto accantonare nel momento in cui appaiono i Bastardi con il loro carico di odio e ricerca di vendetta che muove le loro azioni e tutto il film.

Non si ammettono scuse, un Tarantino così tanto ispirato non si può perdere!

(Michelangelo Scialfa)

 

 

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