Credo che non ci sia
insegnante che non abbia in borsa una biro; possono mancare le chiavi di
casa, gli occhiali o i fazzoletti di carta, ma una biro c’è sempre.
Anzi, spesso la biro è accompagnata da matita e gomma (non si sa mai).
Io non sfuggo alla regola e, dato che sono un’ansiosa, di biro ne ho
sempre almeno due, una delle quali rigorosamente con inchiostro nero per
le firme sui documenti ufficiali (una volta nella scuola si usava così:
le firme dovevano essere assolutamente in nero e le bidelle giravano con
i fogli e le biro d’ordinanza nel caso che qualche sprovveduto avesse
tentato di firmare in blu). Come dicevo, io di biro ne ho sempre due.
Una di queste dimora nella mia borsetta da almeno 15 anni, le ho
cambiato il refill diverse volte ma l’involucro è sempre lo stesso:
smalto blu con finiture in metallo dorato. Quindici anni fa c’era anche
la sigla di una banca, ma è scomparsa col tempo. Questa biro ha per me
un valore inestimabile: mi ricorda Roberto. Gli alunni dovrebbero essere
tutti uguali, tutti dovrebbero ricevere da noi le attenzioni necessarie
e io ho sempre cercato di essere imparziale, ma devo confessare che ci
sono stati alunni più uguali degli altri, alunni magari non bravissimi,
ma che, come dico io, non sono rimasti nel cuore ma nel fegato. Roberto
è stato uno di questi.
Capelli nerissimi e ricci, visetto non bellissimo, ma vivace, occhi
neri, Roberto era l’unico figlio di una mamma rimasta vedova molto
presto, che tirava su questo figlio con tutta l’attenzione e tutto
l’amore del mondo (a lui aveva sacrificato la possibilità di
accompagnarsi con un altro uomo che aveva avuto l’unico torto di non
essere gradito al figlio). La mamma aveva un buon lavoro in banca e a
Roberto non mancava nulla del necessario. Era molto sveglio, ma non si
sfiniva sui libri, stava attento in classe e faceva quel tanto che gli
permettesse di non correre rischi di bocciature, in tutte le materie
tranne che in Matematica, una delle mie materie. In Matematica era
veramente brillante, entusiasta, non si accontentava mai della prima
soluzione e ne cercava sempre di più efficaci, non sopportava di non
finire qualche esercizio e ci si applicava senza risparmio. Tutto questo
per un anno. Roberto alla fine della prima media ha cambiato casa si è
trasferito in casa del nuovo papà che nel frattempo, con tanta pazienza,
era riuscito a farsi accettare dal ragazzo. La mamma, preoccupata per il
fatto che il suo lavoro non le permetteva di stare più vicina al figlio,
lo aveva iscritto a una scuola privata nella nuova zona. Dopo qualche
mese di lontananza, una sera, suona il telefono, dall’altra parte la
mamma di Roberto in lacrime: “Glielo dica lei che non deve comportarsi
così!” Che cosa era successo? Roberto, abituato a me che lo trattavo da
persona responsabile e accettavo le sue affermazioni se sufficientemente
ragionate e logiche, aveva dato del deficiente al professore di
matematica che, a una sua obiezione, aveva risposto che era come diceva
lui e basta. Ovvia la sospensione, con altrettanto ovvio rifiuto di
Roberto di tornare a scuola. Da quella sera, le telefonate si sono fatte
frequenti con Roberto che si sfogava con me e io che gli facevo la
predica, però lui alla fine si è anche laureato!
E la biro, direte voi? La biro mi era stata data dalla mamma durante un
consiglio di classe, lei aveva chiesto un permesso per essere presente e
mi pare che fosse anche rappresentante dei genitori, una mia collega
aveva preso la mia penna e io la stavo cercando sulla scrivania per
annotare qualcosa, la signora si è alzata e mi ha porto la sua dicendomi
che, se ne avevo bisogno, potevo tenerla. Da allora l’ho sempre tenuta
con me.
Qualche mese fa, casualmente, al mercato sotto casa, ho incontrato la
mamma di Roberto che mi ha riconosciuta e mi ha chiesto se mi ricordavo
di suo figlio: le ho fatto vedere la penna.
Marina Bassi
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