Diversi
anni fa, verso la fine degli anni ’90, indirettamente la mia scuola fu
coinvolta nelle vicende del popolare presentatore Enzo Tortora. In breve
i fatti: al termine di un’uscita didattica un professore pensò bene di
portare i ragazzi a far visita al presentatore che, malato, si trovava a
casa sua a Milano; l’altra collega si era rifiutata di salire
nell’appartamento dove, non si sa bene se per caso, si trovasse anche
una troupe di una televisione privata. Ve la faccio breve: un pandemonio
tra genitori furibondi, provveditore sul sentiero di guerra, colleghi
pro e contro, giornalisti all’assalto. Tutti noi eravamo preoccupati per
le conseguenze: le autorizzazioni delle famiglie erano per una mostra
d’arte, non certo per una esibizione televisiva: il collega, il Preside
e anche la collega, che aveva lasciato fare, rischiavano grane non da
poco. Il clima a scuola non era certo dei più sereni.
Ordine tassativo del Preside: evitate interviste, cercate di mantenere
un basso profilo.
Dal momento che le cose non sono mai semplici, eravamo appena finiti sui
giornali perché un altro professore, con l’aiuto di qualche alunno,
aveva chiuso con una catena fissata con un lucchetto l’entrata
principale della scuola che si trova all’interno di un complesso
recintato insieme alla scuola materna e a quella elementare.
L’iniziativa era stata attuata in polemica col direttore della scuola
elementare che, per motivi di sicurezza, teneva chiuso un piccolo
cancello pedonale all’interno del quartiere, cancello che accorciava di
molto il tragitto per chi veniva a scuola in tram e per chi abitava
nella zona. Anche in questo caso putiferio con assemblee, collegi
docenti, consigli d’istituto e via con tutto il carrozzone. A seguito
della serrata il cancelletto veniva aperto al mattino presto e chiuso
con catena e lucchetto dopo l’entrata della prima ora; la chiave del
lucchetto era custodita in segreteria.
Due giorni dopo la visita a Enzo Tortora, un sabato mattina, il
fattaccio. Mi chiamano in segreteria (allora ero vicaria): al citofono
del cancelletto c’è una collega che sbraita frasi incomprensibili il cui
succo, sembra di capire, è che lei, lavoratrice della scuola, ha tutti i
diritti di entrare dal cancelletto e pretende che qualcuno vada ad
aprire il lucchetto perché lei non può ovviamente entrare dal cancello
principale.
La collega, mia carissima amica fra l’altro, era al passaggio pedonale e
aveva messo in scena il seguente quadretto: trovando il cancello chiuso
con la catena ma riuscendo ad aprirlo di qualche centimetro, aveva
ritenuto di poter passare dallo spiraglio e per essere più libera aveva
fatto passare all’interno la borsa e la cartella, poi aveva cercato di
infilarsi nell’esiguo spazio… naturalmente non c’era riuscita;
oltretutto a un certo punto le era venuto il dubbio di compiere
un’azione illegale passando da un’entrata chiusa da un lucchetto; allora
aveva cercato di recuperare la sua roba allungando una gamba e tentando
freneticamente di agganciare col piede le maniglie di borsa e cartella.
In questa operazione la borsa si era aperta lasciando fuoriuscire parte
del contenuto, lei, a stento, aveva recuperato una scarpa che si era
sfilata nella manovra. Tutto ciò sotto gli sguardi interessati di mezzo
quartiere.
Questo tentava di spiegare al citofono sempre più agitata. Io, però,
chiamata durante una lezione, per non perdere tempo mi ero affrettata a
troncare la conversazione e avevo chiesto a un collega libero di andare
ad aprire commentando che mi sembrava che la collega avesse
completamente smarrito il ben dell’intelletto, ma che non mi pareva il
caso di discutere ulteriormente. Il collega, molto flemmatico, si avvia
e raggiunge la tapina, ormai in preda a una mezza crisi isterica, che
tenta di giustificarsi dicendo: “Scusami, ma non potevo proprio passare
dall’entrata principale, visto che c’è tutta quella confusione di
giornalisti, ho sentito il baccano mentre arrivavo! Il Preside ha detto
di non parlare con nessuno e io non voglio essere coinvolta.” “
Giornalisti? Guarda che oggi c’è la festa di fine anno della scuola
elementare! È questa la confusione che hai sentito!” la replica del
collega.
L’aneddoto è stato per anni fonte di grosse risate e ancora adesso
quando passo davanti al cancelletto (ormai sempre aperto) non posso fare
a meno di sorridere ricordando l’episodio.
Marina
Bassi
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