ex cathedra

La granita

L’estate ci sorprese anche quell’anno giungendo improvvisa, calda, asfissiante e soprattutto in anticipo. Avevo già letto sul sito del ministero la mia destinazione come membro esterno agli esami di stato, un paesino della zona montana della nostra provincia dove, da qualche anno, era stata istituita una sezione staccata dell'Istituto Tecnico Industriale della mia città. Ai tempi insegnavo lettere al Magistrale, perché mai mi mandavano all’Industriale? E poi in quel paese scordato da Dio… In alternativa c’era la possibilità di rinunciare all’incarico inviando alla scuola, magari proprio la mattina della riunione plenaria, un telegramma nel quale si spiegava che per sopraggiunti motivi personali indipendenti dalla propria volontà, si era impossibilitati…
- Professoressa - mi disse una mattina il preside della mia scuola incrociandomi nel corridoio -ho letto su internet che lei quest’anno farà una gita in montagna!-
Spiritoso lui che avrebbe fatto il presidente di una delle commissioni del liceo scientifico della sua città, ubicato, praticamente, sotto casa sua.
- Sì, ma in realtà avrei pensato … -
- E no, professoressa, non mi deluda! Mai docenti della mia scuola hanno rinunciato ad un incarico di commissario esterno per gli esami di stato, mai! E poi si sono fatti sempre onore, mostrando preparazione, cultura, fermezza, severità, onestà, ma anche una certa duttilità, qualora occorresse. -
Sapevo benissimo cosa si celava sotto quella “duttilità” e non avevo nessuna voglia di dare un 100 al figlio asino dell’assessore di turno…
- Comunque penso che lei già sappia che anche il suo collega di matematica è stato assegnato a quella scuola, potreste viaggiare insieme… -
Il dentone! L’avevamo soprannominato così io e la collega di educazione fisica per quella sua dentatura cavallina ed una marcata somiglianza con l’omonimo personaggio interpretato da Alberto Sordi nei film I mostri. Era il classico nerd, occhialoni spessi modello anni settanta, capelli impomatati con riga laterale che partiva da sopra l’orecchio, vestito rigorosamente di grigio con cravattina nera da becchino. Tendenzialmente un asociale, quando organizzavamo le cene con i colleghi dimenticavamo regolarmente d’invitarlo e poi gli telefonavamo direttamente dalla pizzeria dopo che qualcuno si accorgeva della sua assenza. E lui, ogni volta, ci raggiungeva e prendeva posto alla fine del tavolo, vicino ai colleghi supplenti che si univano a noi più che altro per parlare tra di loro dei corsi che stavano seguendo, o che avrebbero seguito, per racimolare qualche punto utile per salire di un paio di posti nella graduatoria permanente.
Lo incontrai il giorno dopo in sala docenti, alla fine della sesta ora. Io stavo posando il registro nel mio cassetto e non mi ero quasi accorta della sua presenza.
- Allora… - cominciò senza salutarmi né guardarmi - il preside mi ha detto… -
- Sì. - tagliai corto io -So che anche tu… -
- Sì…- mi rispose tagliando corto anche lui -del resto, una volta finita la scuola, non ho proprio niente da fare…-
Ed io, cosa avevo da fare io? Il viaggio alle Eolie con il mio fidanzato era ormai saltato. In realtà il mio fidanzamento decennale era saltato, dato che lui era letteralmente saltato sul letto di una di otto anni più giovane di me e che faceva la cassiera in un bar del centro, roba da matti…
- Ok. - dissi mettendo nella borsa di lavoro gli ultimi compiti da correggere –Ti vengo a prendere io o… -
- Passo io - disse frettolosamente.
- Io abito in… -
- Sì, sì, lo so dove stai. - fece un mezzo sorriso –Passo io alle 7 e 40. -
Non so perché, ma nel vederlo andar via quasi in fuga e senza salutare mi sembrò di aver ascoltato una sentenza di condanna, la mia. Prima di uscire controllai all’ingresso il mio orario dell’indomani, era quasi passato l’intero anno scolastico ed ancora non l’avevo memorizzato. L’occhio mi cadde sull’orario del dentone. Poveretto, quasi tutte seste ore… tranne oggi, oggi era in servizio solo sino alla terza …
Giunse il giorno fatidico e alle 7 e 40 il dentone era sotto casa mia. Mi precedette verso la sua auto e mi aprì con una certa galanteria lo sportello. Non era certo un’auto nuova, ricordai che ne aveva comprata di seconda mano una simile mio fratello quando prese la patente, e se consideriamo che il mese prossimo avrebbe compiuto quarant’anni, risalire all’anno d’immatricolazione dell’auto fu facile.
- Dovremmo sbrigarci presto per questi esami, gli studenti dovrebbero essere pochi. - dissi ancora un po’ assonnata. Lui rispose di sì e cominciò ad aggiungere informazioni sulla scuola, sul preside, sui colleghi, sul presidente di commissione. Era informatissimo. Venti minuti dopo uscimmo dall’autostrada e prendemmo l’uscita per il paese, una strada stretta e piena di curve che s’inerpicava su per i monti. Il caldo cominciava a farsi sentire. Gli chiesi se potevamo accendere l’aria condizionata, ma lui rispose che era rotta. Guardando i comandi sul cruscotto mi accorsi che in realtà l’aria condizionata non c’era proprio, dai finestrini aperti non entrava un filo d’aria, l’umidità era del cento per cento.
Dieci silenziosi minuti dopo, continuavamo ancora a salire ed il caldo diventava soffocante. Pensai che avrei dovuto chiedere al dentone in che condizioni fosse la sua macchina prima di accettare il passaggio, e pensai alla mia che, con l’aria condizionata sparata al massimo, si trasformava in una cella frigorifera…
Improvvisamente cominciammo a sobbalzare, dieci metri di sobbalzi e poi la fine. La macchina si spense e lui tirò il freno a mano. Scese dalla macchina e si precipitò ad aprire il cofano del vano motore dal quale usciva del fumo. Scesi anch’io e lo raggiunsi.
- Che succede?- gli chiesi. Lui sollevò le spalle e non disse nulla. Provò a toccare il motore e si bruciò una mano.
-Accidenti, - gli dissi –bisognerà telefonare a scuola per dire che ritardiamo.- Prese dall’auto un’agenda sdrucita dove aveva segnato il numero della scuola, mi chiese se avevo il cellulare. L’avevo, certo, ma vidi che non c’era campo. Gli dissi di prendere il suo, mi rispose che si era rotto. Sì, proprio come l’aria condizionata, pensai. Mi disse che aveva insegnato nella scuola verso la quale ci stavamo dirigendo e che aveva fatto tante volte quella strada. Qualche centinaio di metri e avremmo trovato un distributore di benzina, lì qualcuno ci avrebbe aiutati. Istintivamente guardai i miei sandali con il tacco alto e subito dopo l’erta che ci attendeva. Non c’era alternativa e, presa la borsa dalla macchina, gambe in spalla cominciammo a salire. Il caldo, i tacchi e la salita rendevano ancora più odioso il suono della sua voce, gli si era sciolta la parlantina e raccontava di quando era precario, delle scuole nelle quali aveva insegnato, dei presidi con i quali si era trovato bene, di quelli con i quali si era trovato male e bla, bla, bla…
Come un miraggio apparve la stazione di rifornimento. Ero stremata, a lui si stava sciogliendo il gel che aveva sui capelli che stavano prendendo una strana forma scomposta. Mi venne voglia di urlare di gioia, ma mi contenni, quando vidi che c’era un baretto con l’insegna dei servizi igienici, e mentre lui spiegava al benzinaio il punto in cui si trovava la macchina per mandarvi il soccorso stradale, gli dissi – Ci vediamo dentro.-
Mettere la testa sotto il rubinetto dell’acqua fredda fu una goduria incredibile, mi spruzzavo l’acqua addosso come una ragazzina. Chiunque avesse avuto intenzione di usare quel bagno avrebbe fatto meglio a cercarsene un altro, era mio. Mi asciugai per bene, presi dalla borsa il necessaire e mi spruzzai abbondantemente di deodorante fino a tossire, mi truccai ed acconciai i capelli bagnati in una crocchia all’altezza della nuca. Sarebbe stato bello togliersi pure i sandali, ma c’era il pericolo che i piedi già gonfi e tumefatti si potessero gonfiare ulteriormente e non rientrarci più. Uscii dal bagno che ero rinata. Alle mie spalle una voce –Mi sono permesso di ordinare pure per te. -
Sul momento non capii chi fosse quell’uomo seduto al tavolino. La voce era quella un po’ nasale del dentone, ma l’aspetto… Si era tolto la giacca e la cravatta, aveva aperto i primi bottoni della camicia ed era sicuramente passato dal bagno anche lui. Aveva ripulito dal gel i capelli che teneva bagnati e ravviati all’indietro e li scopersi morbidi e riccioluti. Aveva posato gli occhiali sul tavolino scoprendo due grandi occhi neri socchiusi, da miope.
-Ho pensato che avrebbe fatto piacere anche a te qualcosa di fresco. - mi disse indicandomi due bicchieri di plastica stracolmi di granita di mandorla. Mi sedetti di fronte a lui ed osservai quella massa bianca e fredda che stava cominciando a sciogliersi. Ne presi un po’ con il cucchiaino e ne assaporai il freddo e il dolce. Era una vera granita, fatta con vere mandorle, non quelle schifezze fatte con la polverina che ogni tanto ti servivano nei bar affollatissimi dei centri commerciali o degli autogrill, quelle che ti lasciavano una patina bianca sulla lingua ed una sete tremenda. In questa le mandorle c’erano eccome, per cui, oltre a farla sciogliere tra lingua e palato, ad un certo punto eri costretta a masticare, a sentire tra i denti tutti quei pezzetti di mandorla croccanti. Il barista ci portò dei panini caldi da intingere a pezzetti nella granita. Caldo e freddo, dolce e salato si mitigavano ed esaltavano l’un l’altro in un connubio perfetto. Il dentone mi sorrise, e mi accorsi che tutti quei denti adesso sembrava quasi si armonizzassero con il resto del viso. M’informò che aveva avvisato la scuola del contrattempo. Chi gli aveva risposto era stato gentilissimo e gli aveva chiesto se avevamo bisogno d’aiuto, poi gli avevano passato il presidente di commissione che lo aveva rassicurato, avrebbero aspettato un po’ e poi avrebbero iniziato anche senza di noi. Rise gettando la testa indietro.
–T’immagini- mi disse –fosse successo nella nostra scuola e avesse risposto quell’antipatica della centralinista? - e prese a farle il verso imitandola perfettamente. Cominciammo a parlare della scuola, dei nostri alunni, dei loro problemi, era una persona sensibile il dentone, chi l’avrebbe mai detto … -E quell’antipatica della collega d’inglese? Ti sei accorta che somiglia ad un tricheco? - Aveva ragione. Ridemmo ingozzandoci di pane e granita mentre, in quel baretto sperduto, l’afa scioglieva le nostre reticenze.

 

Clara Salafia