ex cathedra

Provini
Oggi non si recita a soggetto

A guardarsi indietro ci si trasforma in statue di sale? Suvvia, mi dico, quell’indietro non è così lontano da confondersi con i tempi del mito!
Non era nemmeno l’età dell’oro, in fondo. Anzi, dell’oro neanche l’ombra, era la guerra allo spreco, anche quello delle bollette telefoniche: per risparmiare “energia” si ricorreva ad una linea telefonica condivisa, una per due numeri, il duplex! Vogliamo mettere? Il costo veniva abbattuto, e che importava se, quando alzavi la cornetta per chiamare, il telefono restava muto perché l’altro utente aveva avuto, in contemporanea, la tua stessa necessità!
Insomma, erano quei tempi e l’unica cosa irrinunciabile, non procrastinabile, era la telefonata che si poteva ricevere intorno alle otto del mattino da una segreteria non meglio identificata.
Di corsa, allora. Era opportuno che fossi già vestita, pronta a scattare, pronta a non farti bruciare sul tempo da qualcuno con la tua stessa “fame” di lavoro.
Era il tempo dei PROVINI, le piccole prove d’uso, insomma!

“Due giorni, l’aula è quella in fondo al corridoio. Non è necessario prendere il registro personale, il collega rientra presto, meglio evitare ingerenze.”
I volti dei ragazzi, sempre nuovi, mostravano curiosità, l’espressione fanciulla non era molto diversa da quella del tuo volto, del mio...
In un austero liceo sono stata richiamata più volte da qualche collaboratore scolastico sollecito ed impegnato: “Dove stai andando? Non è ora di uscire! Rientra in classe! Qual è la tua classe?” “Sono una docente - la voce era un sussurro emozionato e timido - il mio orario è terminato. Sto andando via!”
Quindici giorni, una licenza matrimoniale! Felicità! Sembrava che a sposarmi fossi stata io! Non c’era il tempo di leggere il programma, di preparare qualcosa da dire e fare il primo giorno. Già sul ring, chè quello era un combattimento vero e proprio, col tempo, con la voglia di far chiasso dei ragazzi, con quello che era stato iniziato dall’altro, il collega, e tu dovevi continuare, eri un sostituto, a tempo determinato, determinatissimo, brandelli di mese, brandelli di settimana.
Da quei provini uscivi bocciata sempre e comunque, a richiamare te non ci pensavano nemmeno. L’imperativo era dato da quell’insieme interminabile di nomi sconosciuti con accanto un numerino minaccioso, il punteggio. La Graduatoria era una vera e propria condanna, che tristezza, che senso di sconfitta costante era leggere i tuoi numerini rigorosamente a due cifre che seguivano, sempre in coda, molto in coda, quelli ben più importanti a tre cifre che scandivano il tempo delle attese interminabili, dell’amarezza dell’inazione.
La prova vera doveva ancora arrivare, il Concorso.
Sarebbe mai giunto quel momento?
Giunse. E dalla Preistoria entrai nella Storia.

Sonia Solomonidis