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LABORATORIO DI STORIA

il Femminismo degli anni Settanta

"Se mai io cresca a dignità di uomo,

Mi sia dato un destino di donna!

Possa io governare su tutto, sul grande e sul piccolo,

Avere l'ultima parola e il fianco protetto dal muro"

William Blake

 

Il movimento femminista degli anni sessanta è figlio di un lungo percorso iniziato con le suffragette del primo 900 e proseguito con la lotta per i diritti politici, la parità uomo-donna, la fine delle discriminazioni. In Italia le donne ottennero il diritto di voto nel 1946 e durante gli anni Sessanta vennero ammesse a tutte le professioni, anche a quelle sino ad allora esclusivamente svolte da uomini.

Ma le donne non si accontentarono: rimisero in discussione il loro posto nella società, i rapporti con l'altro sesso, i ruoli in famiglia, i luoghi comuni più diffusi riguardo all'immagine femminile. Negli anni Settanta sorsero nuovi movimenti di donne negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia e in Italia definiti femministi, e non femminili, per avere un rilievo politico e ideologico.

 

Sarete guidati, attraverso esercizi di selezione, lettura, interpretazione  di documenti scritti e iconografici prodotti da donne, a ricostruire come nacque il movimento femminista in Italia e a comprendere quali fossero gli obiettivi che le femministe volevano raggiungere.

I documenti sono numerati per facilitare l'esercitazione.

Modalità di lavoro: gruppo (4-5 alunni)

 

DOCUMENTO 1

Simbolo femminista

 

DOCUMENTO 2

L’istruzione in Gran Bretagna negli anni Settanta

 La grande maggioranza dei ragazzi passa dalla scuola elementare a quella secondaria all'età di undici anni. Il tipo di scuola cui sono avviati o la «corrente» o sezione all'interno delle varie scuole è decisa sulla base delle loro abilità, attraverso esami o giudizi degli insegnanti.

 La maggior parte dei ragazzi lascia la scuola a quindici anni (con o senza esami di licenza) e quelli che continuano prendono prima l'Ordinary Level GeneraI Certificate of Education a sedici anni, l'Advanced a diciotto e poi si avviano di solito verso l'istruzione superiore: università, magistero, studi classici oppure scientifici.

 Ad ogni fase della valutazione, a undici, sedici e diciotto anni, le ragazze riescono marginalmente meglio dei ragazzi, ma l'indirizzo dei loro sforzi è diverso e, dal punto di vista dello status e del prestigio economico, inferiore. L'arco delle materie che le ragazze scelgono all'Ordinary è più ristret­to.

 Dopo la fascia dell'obbligo rimangono a scuola più ragazzi che ragazze, di modo che, all'età di diciotto anni, le ragazze preparano solo la metà di Advanced e il rapporto fra i ragazzi e le ragazze ancora a scuola è di due a uno

. Per il tempo in cui entrano all'università, le ragazze sono soltanto un quarto dei ragazzi nel corpo studentesco. In numero minore fanno domanda per entrare, ma in numero minore sono anche promosse. Con l'eccezione di una o due delle nuove università, nessun'altra ha una politica di parità sessuale. Inoltre, la proporzione fra donne e uomini varia di molto a seconda del tipo di università. Il declino nella percentuale femminile diviene più acuto quanto più è elevato il prestigio dell'università. Nelle piccole università pubbliche le donne costituiscono all'incirca il 35 per cento degli studenti, in quelle più grandi, sempre pubbliche, il 25, ma a Oxford e a Cambridge sono solo il I2,5 per cento. Gli studi postuniversitari sono l'ultimo gradino in questo processo di contrazione: le donne sono si il 22 per cento ma, escludendo quelle che si stanno specializzando per l'insegnamento, la cifra scende alla percentuale del solo 14.

 

da “La condizione della donna”. J. Mitchell, Einaudi, 1972, pp. 145-146

 

 

DOCUMENTO 3

Scritta sul muro

 

DOCUMENTO 4
SEBBEN CHE SIAMO DONNE

Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
per amor dei nostri figli.
Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
in lega ci mettiamo.

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà,


E la libertà non viene
perché non c’è l’unione,
crumiri col padrone
crumiri col padrone.
E la libertà non viene
perché non c’è l’unione,
crumiri col padrone
son tutti da ammazzar

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà,


Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
abbiam delle belle buone lingue
abbiam delle belle buone lingue.
Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
abbiam delle belle buone lingue
e ben ci difendiamo.

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà.


E voialtri signoroni
che ci avete tanto orgoglio
abbassate la superbia
abbassate la superbia.
E voialtri signoroni
che ci avete tanto orgoglio
abbassate la superbia
e aprite il portafoglio.

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori i vuruma vess pagà.
A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà

 

 

DOCUMENTO 5

Manifesto sindacale

 

 

DOCUMENTO 6

LA GIORNATA DELLA DONNA

Le origini della festa dell'8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.

 

DOCUMENTO 7

CONTRO L’AUMENTO DEI PREZZI

DONNE,

il governo ci ha di nuovo aumentato i prezzi dei generi di prima necessità, i padroni ci ripetono sui giornali e alla televisione che in questo momento il paese deve fare maggiori sacrifici.

I sacrifici chi è che continua a farli è la classe operaia, e PIÙ DI TUTTI NOI DONNE.

Se i prezzi aumentano, PROPORZIONATAMENTE AUMENTA ANCHE IL NOSTRO CARICO DI LAVORO:

SPENDIAMO PIÙ TEMPO E FATICA PER ANDARE A FARE LA SPESA DOVE SI SPENDE MENO, ANCHE SE I MERCATI SONO LONTANI DA CASA

SPENDIAMO PIÙ' TEMPO E FATICA PER CUCINARE CON RICETTE ECONOMICHE,

PIÙ TEMPO E FATICA PER USARE MENO GLI ELETTRODOMESTICI E QUINDI CONSUMARE MENO ELETTRICITA',

PIÙ TEMPO E FATICA A CUCIRE, RAMMENDARE PER SOSTITUIRE L'ACQUISTO DI INDUMENTI NUOVI

NOI DONNE, dobbiamo caricarci di questi e di altri lavori, tanto

più se i prezzi continuano a erodere il salario familiare.

L'aumento dei prezzi è uno dei tanti strumenti che i padroni e lo

stato usano per riprendersi tutto quello che ci siamo conquistate

in questi anni con le lotte.

DUNQUE LA CRISI È IL MEZZO CHE USANO CONTRO LA CLASSE OPERAIA PER RIPRENDERSI IL CONTROLLO IN FABBRICA, NELLE CASE, CHE SONO I LUOGHI DOVE SVOLGIAMO IL NOSTRO LAVORO DOMESTICO E QUINDI IN TUTTO IL SOCIALE.

Questo ha significato e significa lottare contro il nostro lavoro domestico, lavoro che ci ha sempre condizionato, isolato, che ci è sempre stato controllato e comandato dal capitalismo contro tutte le nostre anche minime esigenze di vita.

NOI NON ACCETTIAMO IL RICATTO DELLA CRISI, NON CEDIAMO SULLE COSE CHE CI SIAMO CONQUISTATE IN QUESTI ANNI DI LOTTE.

SALARIO AL LAVORO DOMESTICO

Volantino ciclostilato del 1976

 

DOCUMENTO 8

Prima pagina del "Quotidiano donna" del 1978

 

 

DOCUMENTO 9

Nel 1966 venne pubblicato in Gran Bretagna il testo "La condizione della donna" di Julet Mitchell; questo libro, tradotto poi in italiano e  pubblicato da  Einaudi nel 1972 ebbe grande influenza sui movimenti femministi italiani.

 " [...] In tutte le società dove sono sorti movimenti di liberazione femminile si riscontrano analoghe condizioni per le donne e analoghe discriminazioni contro di loro. La somiglianza fra le varie posizioni femminili è importante per lo sviluppo del movimento in questi paesi e spesso anzi ne costituisce il presupposto. Si tratta sempre infatti di paesi industriali giacché nelle zone rurali e agricole il Movimento di Liberazione non si è sviluppato: in Italia, per esempio, è presente soprattutto nelle città del Nord. […]

Tutti i paesi in cui operano gruppi del Women’s liberation Movement sono caratterizzati dalle medesime aree di discriminazione che viene esercitata anche pressappoco allo stesso livello. Dappertutto le donne costituiscono poco più di un terzo della forza lavoro (la cifra americana del 42% è la punta più alta). I loro salari (comunque la loro massima percentuale è impiegata in lavori non qualificati) vanno da circa la metà a circa tre quarti di quelli maschili equivalenti. […]

Le ragazze formano da meno di un quarto a più di un terzo del corpo studentesco universitario. […] Anche se hanno quasi sempre la possibilità di finire le scuole altrettanto ben qualificate dei ragazzi, le loro opportunità di istruzione superiore, di tirocinio professionale (apprendistato) e di studio a metà tempo (riduzione dell’orario di lavoro) sono di circa la metà rispetto a quelle maschili. Non dimentichiamo che in quasi tutti questi paesi da circa un secolo a questa parte è conclamata una politica di parità e di facilitazioni educative per tutti.

La discriminazione legale si maschera da legislazione “protettiva”. Tutti i paesi operano qualche proibizione legale sul tipo, l’orario e il luogo di lavoro di donne e minori che in apparenza salvaguarda gli interessi delle donne sposate esigendo che esse siano mantenute durante e dopo il matrimonio. Ma di solito i loro guadagni sono considerati una parte delle entrate del marito al quale, nella sua qualità teorica di capofamiglia, è affidata anche la custodia legale dei figli. Tutte queste leggi sono una conseguenza della presupposta dipendenza della donna dall’uomo e in effetti valgono a crearla e a rafforzarla. […]"

da Juliet Mitchell, La condizione della donna, Einaudi, 1972

  

DOCUMENTO 10

                                           

 

   

 

   
DOCUMENTO 11

 A - Al fine di conquistare alla donna il diritto di disporre liberamente del proprio corpo:

1. l'informazione sui mezzi anticoncezionali anche nelle scuole e la distribuzione gratuita a tutti senza discriminazione alcuna dei contraccettivi;

[…]

B - Al fine di combattere condizionamenti psicologici e modelli di comportamento:

3. un' azione nella scuola di ogni ordine e grado tesa ad eliminare i programmi differenziati tra i sessi e qualsiasi programmazione culturale[…] che si fondi sulla divisione delle funzioni tra i sessi;

4. la contestazione di miti istituzionali che presentano un'immagine deumanizzata o "specializzata" della donna ( mamma, moglie, amante, angelo del focolare").

C - Al fine di eliminare lo sfruttamento economico sulla donna e perché essa possa raggiungere attraverso il lavoro non domestico la propria autonomia economica e psicologica:

5. la socializzazione di quei servizi che oggi gravano prevalentemente sulla donna sotto forma del cosiddetto "lavoro domestico";

6. la creazione di asili-nido pubblicamente finanziati, socialmente gestiti e culturalmente improntati ad una visione antiautoritaria.

Adattamento da I movimenti femministi in Italia, a cura di R. Spagnoletti, Savelli, Roma 1976, p. 80

Documento del Movimento di liberazione della donna (M.L.D.)

 

DOCUMENTO 12

 

a cura di Gabriella Rapella

Hanno fornito materiali: Daniela Borsato, Teresa Ducci, Gisella Malagodi