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Una vera chicca che la Baldini & Castoldi sta ripubblicando dopo che per trent’anni se n’erano perse le tracce (e la speranza!). Immeritatamente sottovalutata e dimenticata, l’autrice ha un raro talento nel descrivere l’anima di un adolescente, facendo rivivere quel periodo nel lettore con una sensibilità e una comprensione così lontana dalle attuali generalizzazioni da risultare una boccata d’aria fresca.
In questo modo la trama, inevitabilmente legata al contesto storico per quanto riguarda l’ambientazione, supera questo limite ed evita che il romanzo risulti datato, in quanto le esperienze e i sentimenti raccontati trascendono epoche e luoghi, proprio perché comuni a tutti: il senso d’incomprensione, la paura di non essere accettati e il non accettarsi, la ribellione verso tutto e tutti, il primo amore e i rapporti con gli altri, ma soprattutto la difficoltà di crescere.
Da sottolineare la bravura nel rendere i personaggi figure a tutto tondo, di grande spessore e profondità, lasciando comunque al lettore lo spazio per immaginarli all’interno della propria vita: la descrizione segue di pari passo l’evolversi della visione del protagonista, per cui mentre all’inizio gli altri sono visti in maniera unidimensionale e solo in rapporto a lui, proseguendo acquisiscono caratteristiche proprie ed indipendenti parallelamente allo sguardo più consapevole e ‘comprensivo’ con cui Rosso li guarda: dal padre convenzionale e freddo al nonno anarchico e ubriacone.
In definitiva: un piccolo capolavoro da non perdere, pieno di poesia (Neruda) e musica (jazz).

(Lucia Lanzoni)

 

Credo proprio di essermi presa un’infatuazione per questa scrittrice: dopo aver letto “Una stanza tutta per gli altri” ho deciso di conoscerla meglio e ho scoperto che è l’autrice di una serie di gialli da cui in Spagna è stata tratta una serie televisiva di successo, analogamente a quanto accaduto da noi con il commissario Montalbano di Camilleri.
La protagonista è Petra Delicado, ispettrice della Polizia di Barcellona: solida, pragmatica, disincantata, ironica, Petra è una dura che si è fatta le ossa in un contesto professionale essenzialmente maschile. Sua ombra e alter ego perfetto è il suo fedele vice, nonché compagno di bevute, Fermìn Garzòn, una sorta di Sancho Panza goffo e fondamentalmente sentimentale, prototipo del maschio metà affascinato e metà intimorito dalla forza e dalla determinazione femminili.
Ciò che caratterizza i due e li rende anche assolutamente irresistibili è la loro tecnica investigativa: l’indagine si sbroglia lentamente, si va per tentativi – e anche per cantonate… - dal buio assoluto fino alla sospirata soluzione, spesso favorita dal caso o dalle conseguenze di un errore. Nel mezzo, molta vita: sprazzi di quotidianità, pause goderecce, ma anche dolorose riflessioni sui mali del mondo, il tutto condito da una buona dose di ironia e reso ancora più gustoso dall’agilità dei dialoghi.
Della stessa serie, tutta edita da Sellerio, ho letto anche “Giorno da cani” e ho già pronti sul comodino “Morti di carta” e “Un bastimento carico di riso".

(Monica Anelli)

(…) Se questo diario non l'avessi scritto io e un bel giorno dovesse cadere nelle mie mani, cercherei di scrivere un romanzo su Nelly, sul suo personaggio. Tutta la storia fra noi, gli sforzi miei e di Leonard per liberarci di lei, le nostre riconciliazioni (…)”. Così scrive Virginia Woolf nel suo diario; Nelly è Nelly Boxall, sua cuoca e domestica per 18 anni.
La Bartlett raccoglie l’invito (o la sfida?) di Virginia Woolf e, fingendo di aver ritrovato il diario di Nelly, ci regala una gustosa e credibile ricostruzione del lungo, burrascoso rapporto fra le due donne. Lo sguardo acuto e spietato della governante non risparmia nessuno: Virginia, il marito, la cerchia dei familiari e degli amici del trasgressivo gruppo di Bloomsbury, tutti cadono sotto il giudizio severo di Nelly, testimone dapprima turbata poi quasi rassegnata delle stravaganze, delle provocazioni e della libertà di costumi del gruppo.
Ma è sempre a Virginia che viene riservato il trattamento peggiore: chissà se la scrittrice in privato era davvero così algida, scorbutica e, ahimé, tremendamente snob e classista (lei, paladina delle idee progressiste e dell’emancipazione femminile!) come la descrive Nelly… in ogni caso, l’espediente permette all’autrice di focalizzare l’attenzione del lettore sulle contraddizioni sociali della Gran Bretagna dei primi decenni del ‘900 e su una lotta di classe simbolicamente rappresentata dai continui battibecchi fra le due donne.
La scrittura della Bartlett è agile, fresca, leggera: scorre via piacevole e lascia in bocca il gusto agrodolce di un’ironia misurata ma incisiva. Le variazioni di stile che caratterizzano l’alternarsi del punto di vista conferiscono ritmo e vivacità alla narrazione, che si arricchisce anche di puntuali e precise digressioni storico-sociali.

(Monica Anelli)

Due storie, due ragazzi, due vite. Mattia e Alice. È il 1983, Mattia – bambino dotato di grande intelligenza – abbandona la sua gemella Michela, autistica e bisognosa di attenzioni, prima di recarsi insieme a una festa di compleanno. Il tutto avviene nel silenzio di un parco torinese, dove Mattia, nelle lacrime di un pentimento che durerà per sempre, sa che non la ritroverà mai più. Nello stesso anno, da un’altra parte, Alice cade rovinosamente prima dell’inizio di una gara sciistica, a cui suo padre tiene enormemente. Si ritrova sola, sommersa dalla neve, senza più la capacità di rialzarsi e senza essere vista dai compagni che proseguono oltre. Mattia e Alice si incontreranno per la prima volta a scuola: lui autolesionista, lei zoppa. Alice resta colpita da questo ragazzo così differente dagli altri. Il loro rapporto nasce dalla comune sensazione di non appartenere a questo mondo, a questa gente, di non essere come i loro coetanei, né accettati. Soli come due numeri primi, vicini ma senza incontrarsi o toccarsi davvero. Il loro è un rapporto senza contatto, l’amore non è quello che si conosce e l’amicizia non è quella di tutti i giorni. Solo dopo molto tempo, Alice saprà del segreto di Mattia, dell’abbandono di quella bambina che era sua sorella. Tra periodi di distacco e assoluta vicinanza, i due ragazzi crescono con le zavorre di quest’infanzia segnata da traumi e colpe indissolubili. Si ripercuoteranno nelle rinunce di Mattia ad ogni occasione di felicità - ad esempio, nella sua laurea senza invitati - nell’avversione di Alice per il cibo, in un’anoressia accettata passivamente, nell’unica relazione stabile che preferisce mandare in pezzi, perché “sentirsi speciali è la peggiore delle gabbie che uno possa costruirsi”; o forse per una remota attrazione verso Mattia, ormai lontano per un dottorato di ricerca, spinto dai genitori e non per consentirgli la possibilità di una carriera. Una mattina Alice, adulta, vaga per la città; scorge una ragazza dai lineamenti somiglianti al suo amico lontano: è Michela, o forse no. Pensa di averla ritrovata, Mattia deve tornare. Ricevuta la lettera (senza spiegazioni) di Alice, Mattia ritorna in quel mondo buio tornato a vivere in un istante dentro di lui. Ma per Alice si può ripercorrere. Il loro ultimo incontro, fatto di comprensioni senza parole, non ha rivelazioni: non è più certa se la ragazza incontrata per strada sia quella sorella mai conosciuta, non è più sicura dei motivi per cui l’ha portato a ribussare nella sua vita. Ma è certa del perché l’ha fatto rientrare, anche se per poco. Niente, nemmeno quell’incontro da adulti, dopo anni di lontananza, può cambiare il loro rapporto, la loro solitudine. Vincitore del Premio Strega 2008, Paolo Giordano esordisce con un romanzo bellissimo, in grado di inserire un concetto matematico in una storia profondamente tormentata, che se si comprende si ama, e se non si comprende si finisce per odiarla: io l’ho amata.

(Chiara Canu)

 

                                                      

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