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Esistono le radici cristiane d’Europa? Due autorevoli contributi al dibattito nel momento più caldo, mentre si stava elaborando la Costituzione Europea. Pera era Presidente del Senato; Ratzinger, non ancora papa, era il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in altre parole l’ideologo del Vaticano.
Pera tiene una conferenza su “Relativismo, cristianesimo e Occidente”, Ratzinger su “Europa. I suoi fondamenti spirituali”. Tra i due successivamente avviene uno scambio di lettere. Curiosamente quello più aperto ad altre culture sembra il cardinale. Pera si lancia in spericolate citazioni di filosofi e studiosi passati e presenti, usandoli piuttosto disinvoltamente per dimostrare la sua tesi: che l’Occidente è troppo pavido nella difesa dei suoi valori. La parte più interessante e condivisibile è l’argomentazione secondo la quale credere nella superiorità dei propri modelli culturali non implica necessariamente volerli imporre agli altri. A questo punto manca però il passo successivo: come cioè affermare la superiorità, ad esempio, della democrazia sulla teocrazia, con quali mezzi se non quelli democratici, pena il venir meno del valore stesso. La conclusione di Pera va invece nella direzione contraria.
Ratzinger esplora la storia d’Europa dalle origini, dall’iniziale identificazione tra potere politico e religioso, alle successive distinzioni tra Papato e impero, fino alla formazione degli Stati nazionali e allo “scisma” provocato dalla Rivoluzione Francese. Il futuro papa rintraccia l’identità dell’Europa in alcuni principi, secondo lui specificamente cristiani: i diritti umani e la famiglia fondata sul matrimonio.
Spunti interessanti per una discussione, alla quale manca tuttavia qualcosa di essenziale: l’interlocutore. Quella cultura laica, cioè, sbrigativamente liquidata come debole e rinunciataria, ma che forse ha anch’essa qualcosa da dire sulle proprie radici.

(Daniela Borsato)

 

“I viaggi nelle case sono viaggi nelle vite. O forse è il contrario. Ma non importa. Una casa è un destino comunque. (…)”
E’ un libro curioso, questo, in tutti i sensi: perché ci porta a spiare “(…) nelle case e nella vita sentimentale di Grazia Deledda, Marguerite Yourcenar, Colette, Alexandra David-Néel, Karen Blixen, Virginia Woolf”. Con uno spirito un po’ voyeuristico, ma forte della tesi secondo la quale “una casa racconta la verità su chi la abita”, l’autrice percorre i luoghi dove vissero, scrissero e amarono queste donne tra loro apparentemente così diverse, e ce ne svela le debolezze, i vezzi e le abitudini attraverso le cose di cui si circondavano. Ce le mostra fragili e vulnerabili nella trama complessa – e spesso complicata - delle loro vite sentimentali, ora sofferte, ora quasi negate.
Il taglio del libro è quello del reportage: l’autrice esplora i posti, interroga i testimoni, scava nelle opere alla ricerca di riscontri, raccoglie aneddoti e ricordi, il tutto, però, con una partecipazione emotiva palpabile, perché, come dice citando la Blixen, “(…) il destino di un altro serve sempre a spiegare qualcosa. Un po’ ci illumina, un po’ ci mette in guardia da noi stessi.”

(Monica Anelli)

La prima sensazione è di smarrimento. Orientarsi tra greco-ortodossi, melchiti, latini, caldei, copti, maroniti, ecc. è un’impresa impossibile per il profano. Ed è difficile per noi capire come mai ognuna di queste differenti, talvolta minuscole, comunità cristiane presenti in Palestina sia impegnata con tanto accanimento a difendere il proprio spazio vitale, che in qualche caso si riduce ad uno sgabuzzino in un angolo della Basilica del S. Sepolcro. Ognuno di questi gruppi ha dietro di sé una storia millenaria, tutti sono presenti da secoli in Terrasanta, ciascuno ha ottime ragioni per rivendicare diritti e difendere identità. Difficile capire per noi italiani, cristiani di una sola Chiesa o indifferenti. Perché i cristiani in Palestina sono una minoranza sempre più esigua, sempre più discriminata, sempre più povera, minacciata dall’aggressività dell’occupazione israeliana, ma anche dal radicalizzarsi dello scontro, per cui tra i palestinesi prevale sempre di più la componente fondamentalista islamica su quella laico-rivoluzionaria dei primi tempi. Il libro affronta e approfondisce con grande chiarezza una serie di questioni molto delicate che tv e giornali in Occidente di solito ignorano; e avanza la tesi che aiutare le comunità cristiane a sopravvivere in Palestina possa essere d’aiuto al processo di pace. Ma il lettore viene colto dal dubbio che non abbiano tutti i torti i musulmani a burlarsi dei cristiani chiedendo: “Ma quante volte è nato e morto Gesù?”, dal momento che si trovano di fronte a due o tre Pasque o Natali festeggiati in date diverse.
Alla fine non credo che il lettore ricorderà facilmente la differenza tra melchiti e caldei, ma gli sarà forse più difficile dimenticare la storia delle donne e dei neonati morti per non aver potuto raggiungere l’ospedale a causa dei posti di blocco, oppure degli immigrati russi che si fingono ebrei e nascondono icone e salsicce.
“Ognuno segue la sua religione e Dio l’aiuta” (proverbio palestinese)

(Daniela Borsato)

Coraggio, rigore, tenacia: le armi con cui Anna Politkovskaja demolisce ogni illusione sull’evoluzione democratica della Russia. Tragica la conclusione della vicenda umana della giornalista, terribili i fatti narrati. Un quadro di corruzione, arbitrio, cinismo, in cui i protagonisti hanno nome e cognome: sono politici, imprenditori, magistrati, criminali comuni, tutti protetti e favoriti da un sistema di potere gestito e organizzato da uomini dell’ex KGB, a cominciare da Putin. Non è lui il protagonista del libro, però: rimane sullo sfondo, espressione dell’eterno potere che opprime i deboli, mistifica la verità, assolve ladri ed assassini.
Non è un’analisi politica, è un magnifico esempio di inchiesta giornalistica. Parlano i fatti, gli atti processuali, le voci dei protagonisti: il processo a un militare accusato di aver stuprato e ucciso una ragazza cecena, le storie di successi e fallimenti nel nuovo capitalismo selvaggio, i meccanismi con i quali la nuova mafia russa si impadronisce di aziende sane e le distrugge, altre storie di ordinaria ingiustizia. E l’ingiustizia più grande: la guerra cecena. Lo strumento che usa il potere per tenersi a galla, secondo uno schema vecchio come la storia: creare e mantenere un nemico esterno per ottenere il consenso interno. Bellissima e straziante la storia del sedicenne ucciso nel teatro Dubrovka e della disperata lotta per la verità di sua madre.
Sotto accusa non è solo il despota, ma chi gli consente di agire impunemente: innanzitutto i cittadini russi che subiscono senza fiatare menzogne e soprusi, e poi l’opinione pubblica internazionale e i politici europei ed americani che lo osannano, chiudendo occhi e orecchie alla realtà dei fatti, anche ora, dopo che Anna Politkovskaja ha pagato con la vita il suo coraggio.

(Daniela Borsato)

 

                                                      

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